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CINA: QUANDO L’ECONOMIA DI MERCATO FA MALE ALL’ITALIA

Il riconoscimento dello "status di economia di mercato" (MES) alla Cina è sicuramente uno dei temi più caldi dell’anno in corso.

di Alessandro Leozappa - 19 Maggio 2016 - 5'

Il riconoscimento dello “status di economia di mercato” (MES) alla Cina è sicuramente uno dei temi più caldi dell’anno in corso.

Infatti, l’11 dicembre 2016, alla scadenza dei quindici anni dall’ingresso della Cina nel WTO, l’Europa ed altri partner commerciali della Cina (Stati Uniti, Canada, Giappone, Messico, India) dovranno pronunciarsi sul riconoscere al gigante asiatico lo status di “economia di mercato”.

A Bruxelles, da settimane gli addetti ai lavori si interrogano sulla vicenda dividendosi tra favorevoli e contrari.

Cerchiamo di scoprire quali possono essere le possibili conseguenze di quest’avvenimento.

Nel 2001, quando la Cina entrò a far parte del (WTO) (Organizzazione Mondiale Commercio, fu stabilito che avrebbe ottenuto l’assegnazione dello status di economia di mercato dopo 15 anni di “transizione” (fino al 2016 appunto), considerando le grandi riforme in corso d’opera dal governo di Pechino.

Mentre i vertici politici cinesi ritengono che tale status debba essere riconosciuto in automatico, Stati Uniti e numerosi paesi europei sarebbero ancora incerti, ritenendo che lo status vada conferito soltanto al maturare di certe condizioni: stop dell’influenza governativa sulle imprese, fine degli aiuti di Stato, trasparenza sul diritto di proprietà ed esistenza di un settore finanziario indipendente.

In realtà, alle spalle di questa “incertezza burocratica”, sorgono notevoli preoccupazioni per la competitività dei prodotti europei, in particolare quelli delle industrie metallurgiche, siderurgiche, elettroniche e tessili che hanno visto negli ultimi anni un forte sbilancio commerciale (importazioni maggiori delle esportazioni) con la Cina.

Se al Dragone fosse conferito questo status, allora si assisterebbe ad una massiccia invasione di prodotti cinesi, perchè non potrebbero più essere facilmente oggetto di dazi anti-dumping. Infatti, nonostante le numerose multe anti-dumping inflitte negli anni, la Cina ha continuato ad adottare politiche aggressive di prezzo, spesso addiruttura inferiore al costo di produzione (dumping), al fine di guadagnare maggiori quote di mercato, specialmente in Europa.

Fonte: Elaborazione dell’autore su dati UNCOMTRADE.

Secondo uno studio dell’Economic Policy Institute, la decisione di conferire lo status di economia di mercato alla Cina comporterebbe per l’Europa una perdita di 3,5 milioni di posti di lavoro e un danno da 228 miliardi di euro che si traduce in una riduzione del PIL pari al 2%.

A farne maggiormente le spese sarebbero le industrie manifatturiere in Italia, Francia, Polonia ed altri paesi dell’Europa meridionale che soffrirebbero sia di un notevole crollo della competitività dei loro prodotti che di una netta riduzione degli investimenti nel settore.

Al contrario, i paesi dell’ Europa settentrionale (Germania, Gran Bretagna, Olanda, Svezia, Danimarca, Finlandia, Belgio, Irlanda) sarebbero favorevoli al conferimento del MES alla Cina, in quanto acquisterebbero prodotti semilavorati cinesi al ribasso che verrebbero utilizzati come input di produzione.

Quindi riconoscere o non riconoscere lo status di economia di mercato alla Cina?

La questione non è così facile da risolvere come sembra.

Ad agitare le acque ci sarebbero, infatti, le possibili ripercussioni politiche ed economiche con il governo di Pechino.

Infatti, la Cina oltre ad essere il secondo partner commerciale europeo (dopo gli USA) è uno dei primi investitori dei debiti sovrani nel nostro continente.

Tra l’altro, al rischio di un’inclinazione dei rapporti diplomatici esterni con la Cina, si affianca quello degli scontri politici interni tra lo stesso Parlamento Europeo e la Commissione.

Se da un lato il Parlamento europeo ha votato ad ampia maggioranza una risoluzione che chiede di non riconoscere unilateralmente alla Cina lo status di economia di mercato, dall’altro la Commissione si è spesso definita bendisposta a conferire questo riconoscimento alla Cina.

Quali le conseguenze per il nostro paese?

L’Italia è il paese europeo in maggior concorrenza con la Cina.

Su 52 categorie di prodotti cinesi attualmente soggetti a dazi antidumping europei, 30 sono prevalentemente costituite da prodotti italiani.

L’Istat ha dichiarato che, nel 2015 il saldo commerciale italiano tra import ed export con la Cina è stato pari a -17,7 miliardi di euro. La maggioranza del nostro import cinese riguarda: i prodotti del tessile-abbigliamento (6,6 miliardi di valore in crescita del 7,4% rispetto al 2014), i computer e l’elettronica (4,1 miliardi, +4,8%) e gli apparecchi elettronici (3,3 miliardi, +17,9%).

Secondo il Sole24ore, il conferimento dello status di economia di mercato alla Cina, farebbe schizzare verso l’alto le importazioni di prodotti cinesi determinando uno scompenso maggiore della bilancia commerciale nostrana. A subirne le conseguenze sarebbero i comparti della meccanica, chimica, bulloneria, calzature, biciclette, pannelli solari, carta, vetro e ceramica con una perdita potenziale di posti di lavoro pari alle 100-400mila unità, con decine di migliaia di aziende a rischio chiusura e con perdite che ammonterebbero fino a 1,1 miliardi di euro.

Pertanto, alla luce dei dati emersi, la vicenda rischia di configurarsi come una cena al ristorante nella quale, alla fine, a pagare il conto sembra soprattutto uno: il nostro Made in Italy.

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