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Cosa ha fatto la Spagna per tornare a crescere (a differenza dell’Italia)

Spagna batte Italia. Tra le economie più colpite dalla crisi finanziaria in Europa, da anni sotto gli occhi dei mercati e con i dati economici più precari, non tutti i paesi si muovono all’unisono. In particolare tra Italia e Spagna, paesi a lungo assimilati, il divario si allarga sempre di più: sembra che le due economie stiano correndo su due binari diversi. Che cosa è successo?

di Alessandro Leozappa - 24 Ottobre 2014 - 5'

Spagna batte Italia. Tra le economie più colpite dalla crisi finanziaria in Europa, da anni sotto gli occhi dei mercati e con i dati economici più precari, non tutti i paesi si muovono all’unisono. In particolare tra Italia e Spagna, paesi a lungo assimilati, il divario si allarga sempre di più: sembra che le due economie stiano correndo su due binari diversi. Che cosa è successo?

Da quando Mario Draghi, governatore della Banca Centrale Europea, pronunciò nel luglio di 2 anni fa il famoso “whatever it takes”, annunciando la volontà della banca centrale di ricorrere ad ogni mezzo in suo possesso per contrastare la speculazione sul mercato dei titoli di Stato europei, i tassi di interesse dei paesi considerati a rischio, quali Irlanda, Italia, Spagna, Portogallo, sono scesi continuamente. Il supporto della Banca Centrale ha ridotto il costo del denaro per i paesi della cosiddetta periferia d’Europa, ma l’andamento dei tassi degli ultimi mesi e i dati economici accendono un campanello d’allarme. L’Italia sta rimanendo indietro e, tra i malati d’Europa, appare sempre più in difficoltà.

Il confronto con la Spagna è impietoso. Dall’inizio della discesa dei tassi della periferia europea, notiamo come quelli sui titoli di Stato spagnoli, partendo da un livello più elevato, si siano ridotti più velocemente, tanto da raggiungere quelli italiani e oltrepassarli. Dal gennaio di quest’anno notiamo come il tasso spagnolo si sia mantenuto sotto a quello italiano, e il divario tra i due è aumentato sempre di più. La differenza tra i due tassi indica quale rendimento i mercati richiedano all’Italia per prestarle dei soldi, rispetto alla Spagna. Questa differenza è passata dall’essere di un punto percentuale, o 100 punti base, in favore dell’Italia durante il 2012, agli attuali oltre 30 punti base in favore della Spagna.

La domanda che sorge spontanea è dunque come abbia fatto la Spagna a conquistare la fiducia dei mercati meglio del nostro paese? Il primo dato che risponde a questa domanda, e ne apre altre, è che la Spagna cresce. Dal 2014 la variazione del prodotto interno lordo spagnolo è tornata a mostrare un segno positivo, e la crescita per l’anno in corso è stata recentemente rivista al rialzo, al 1,2%, dal Fondo Monetario Internazionale. La situazione italiana è invece tristemente nota. Il PIL del nostro paese è in contrazione dal ultimo trimestre del 2011.

In favore della Spagna gioca poi un debito pubblico decisamente più contenuto del nostro. Emerge però che questo debito è aumentato rapidamente negli ultimi anni. La Spagna ha infatti registrato un importante deficit durante gli ultimi anni, pari al 10% e 7% del PIL rispettivamente nel 2012 e 2013. Negli stessi anni l’Italia ha diligentemente rispettato il tetto del 3% del deficit previsto dai trattati europei.

Come ha potuto la Spagna incrementare così tanto il debito, a causa di un deficit sostenuto, senza incorrere nel veto delle istituzioni europee e soprattutto senza provocare ondate di vendite sui propri titoli di Stato e conseguente impennata dei tassi? Recentemente il settimanale inglese The Economist scriveva che la riforma del lavoro varata in Spagna nel 2012 ha dato alle imprese la possibilità di decidere autonomamente i salari e le condizioni contrattuali, piuttosto che vincolarsi a contratti collettivi e ha ridotto i costi di licenziamento. Queste modifiche, concordate con sindacati e lavoratori, hanno raffreddato la crescita dei salari che aveva perso ogni legame con l’andamento della produttività. È proprio questa caratteristica che è mancata, e manca, nelle riforme del lavoro che si sono susseguite in Italia. Come argomentato dal professor Paolo Manasse, docente all’Università di Bologna, l’esclusivo focus delle riforme nostrane sulla flessibilità in uscita, senza alcun meccanismo che leghi i salari alla produttività, ha addirittura effetti opposti a quelli auspicati.

Le riforme in Spagna sono state tutt’altro che miracolose. Il tasso di disoccupazione, seppur in lieve riduzione durante l’ultimo anno, è al 24%, inferiore in Europa solo a quello greco, e ben oltre i livelli socialmente accettabili.

È certamente presto per decretare la vittoria delle politiche avviate in Spagna due anni fa. La fiducia nei mercati e soprattutto la ripresa del PIL puntano i riflettori su quello che Madrid ha fatto e l’Italia no. La maniacale ricerca del contenimento del deficit e le riforme timide e inefficaci mostrano sempre più il segno. Qualora dovesse ridursi il supporto della banca centrale l’Italia avrà perduto un’occasione importante per farsi trovare meno vulnerabile alla prossima crisi.

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