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CUNEO FISCALE SECONDO L’OCSE: IL MACIGNO CHE SCHIACCIA GLI ITALIANI

L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo) nel recente rapporto “Taxing Wages 2016” ha analizzato il livello del cuneo fiscale, cioè la differenza tra quanto un lavoratore costa all'azienda e quanto percepisce netto in busta paga, nei 34 paesi più industrializzati al mondo.

di Anna Schwarz - 14 Aprile 2016 - 4'

L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo) nel recente rapporto “Taxing Wages 2016” ha analizzato il livello del cuneo fiscale, cioè la differenza tra quanto un lavoratore costa all’azienda e quanto percepisce netto in busta paga, nei 34 paesi più industrializzati al mondo.

Il cuneo fiscale fornisce quindi una misura tangibile quanto la tassazione fiscale possa incidere sul salario percepito dal lavoratore.

La grandezza analizzata è, infatti, la retribuzione media lorda sottratta delle imposte sul reddito del paese di appartenenza e dei contributi previdenziali. Le osservazioni fanno riferimento al carico fiscale per diverse figure tipo: a reddito basso, medio o alto e per diverse composizioni del nucleo familiare (soggetto single, coniugato, con due figli, coniugato senza figli).

Dall’analisi sono emersi dei risultati poco incoraggianti per i lavoratori italiani. L’Italia si colloca ai vertici dei paesi mondiali con il più alto livello di tassazione fiscale sul lavoro.

Ma concretamente quanto incide il cuneo fiscale sui redditi degli italiani?

Secondo l’ OCSE, il cuneo fiscale sul reddito medio di un lavoratore “single” senza figli a carico è pari al 49% (+0,8% annuo), un valore che colloca il Belpaese al 4° posto a livello mondiale alle spalle di Germania (49,4%), Austria (49,5%) e Belgio (55,3%).

Vale la pena notare l’ampia distanza dalla media OCSE (35,9%).

Cuneo fiscale single

Fonte: OECD – “Taxing Wages 2016”,

Se i lavoratori “single” italiani sono tra i più tartassati a livello mondiale, di certo le famiglie non se la passano meglio. Secondo i dati emersi, quando si analizza il peso del cuneo fiscale sui salari delle famiglie monoreddito con due figli, l’Italia conquista il gradino più basso del podio (39,9%) dietro soltanto a Belgio (40,4%) e Francia (40,5%).

Addirittura al secondo posto (39,5%), se si considerano famiglie con due redditi (l’uno uguale alla media e l’altro il 33% della media) con due figli a carico. Un vanto di cui certamente avremmo preferito fare a meno.

cuneo fiscale coppia un lavoratore due figlicuneo fiscale coppia due lavoratori due figli

Fonte: OECD – “Taxing Wages 2016”.

Ma, oltre ad essere sempre tra i più elevati al mondo, il cuneo fiscale italiano sta aumentando o diminuendo?

Nel corso dell’ultimo anno, il peso del cuneo fiscale medio dei paesi Ocse è sceso di quasi un punto percentuale sia per “single” (da 36.6% a 35.9%) sia per le famiglie con due figli a carico (da 27.5% to 26.7%).

In Italia invece non è così: il cuneo fiscale è addirittura aumentato. E, dal momento che i contributi previdenziali sono rimasti stabili, il livello più elevato del cuneo è da imputare a un aumento dell’aliquota fiscale sul reddito.

Le imposte sul reddito, infatti, nel 2015 sono aumentate dal 16,7% del 2014 al 17,5%. A queste si aggiungono i contributi a carico del dipendente pari al 7,2% e i contributi a carico del datore di lavoro per il 24,3%.

Un cuneo fiscale così elevato non favorisce né la ripresa dell’occupazione (già latente) né il livello dei consumi, per via del minore potere d’acquisto che ne consegue, sia per i singoli lavoratori che per le famiglie.

Per una ripresa (anche della produttività del lavoro) non occorrono soltanto investimenti produttivi e innovazioni, ma anche un robusto abbassamento del costo del lavoro.

Siamo in attesa di nuovi sviluppi per quanto riguarda la “più grande operazione di riduzione delle tasse mai vista in Italia” proclamata dall’attuale esecutivo: un’operazione da tempo necessaria, che dovrebbe permettere non solo maggiore reddito nelle tasche dei lavoratori, ma anche un minore costo del lavoro a carico delle aziende, che sarebbero maggiormente incentivate ad assumere e investire in risorse umane.

Nel frattempo, tra il dire e il fare c’è di mezzo la verità (tutt’altro che rosea) testimoniata dall’OCSE.

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