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E’ ancora sicuro investire in Titoli di Stato?

I risparmiatori italiani sono un popolo tradizionalmente affezionato ai Titoli di Stato. Quali sono i rischi da valutare prima di intraprendere questo investimento e quali sono i paesi con il maggior numero di default nella storia recente?

di Piero Cingari - 1 Agosto 2017 - 5'

Ammettilo, anche tu almeno una volta nella vita avrai sentito parlare di obbligazioni governative (in inglese sovereign bond), o più comunemente Titoli di Stato.

I Titoli di Stato sono strumenti emessi dai governi nazionali con lo scopo di finanziare il proprio debito pubblico. Chi acquista un’obbligazione governativa ha diritto di ricevere gli interessi periodici durante la vita del titolo e di ottenere il capitale iniziale alla scadenza. Di fatto, l’investitore presta i suoi soldi al paese, assumendo le vesti di creditore dello stesso.

I Titoli di Stato italiani sono emessi dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e si dividono in: Buoni Ordinari del Tesoro (BOT), Certificati del Tesoro Zero Coupon (CTZ), Certificati di Credito del Tesoro (CCT/CCTeu), Buoni del Tesoro Poliennali (BTP), Buoni del Tesoro Poliennali indicizzati all’Inflazione Europea (BTP€i).

I risparmiatori italiani sono un popolo tradizionalmente affezionato ai titoli di Stato, che secondo l’opinione comune rappresentano un investimento dal rischio praticamente inesistente.

Tenete presente questa regola: nessun investimento, neanche quello apparentemente più sicuro, è totalmente privo di rischio. Le obbligazioni governative, seppur generalmente più sicure di un’obbligazione societaria o di un’azione di un emittente dello stesso paese, hanno alcuni rischi.

Ma quali sono i principali rischi da valutare prima di investire in Titoli di Stato?

Rischio di default (fallimento dell’emittente)

Chi investe in un titolo di Stato è soggetto al rischio di insolvenza (default) dell’emittente che si verifica quando il paese non riesce o si rifiuta, di onorare, in parte o totalmente, i suoi debiti. All’aumentare del rischio di fallimento di uno Stato, aumentano anche i rendimenti offerti dai suoi titoli.

Certamente, non tutti i default sovrani si verificano allo stesso modo. In alcuni casi, il governo rinegozia con i creditori la quota interessi e/o quella capitale, in altri, posticipa semplicemente i rimborsi nel tempo. Gli Stati possono anche scambiare i titoli in circolazione con nuove obbligazioni emesse a condizioni meno favorevoli per i creditori.

Il default di un paese è comunque un evento raro, che solitamente viene preceduto da chiari segnali di deterioramento dei fondamentali economici o dal manifestarsi di una crisi finanziaria.

La mappa dei paesi per numero di default nella storia

Nella storia, i default sovrani si sono verificati più frequentemente nei paesi emergenti e, in particolare, in America Latina. Lo studio completo sui default dei paesi mondiali sin dal 1800 è stato condotto da Reinhart & Rogoff (2008). In quest’articolo, preferiamo mostrarvi quelli avvenuti in epoca più recente.

L’Argentina e il Cile detengono il record di default (6 volte entrambi) dal dopoguerra ad oggi. In Europa, invece, i casi più noti sono quelli vissuti in Grecia. Prima nel 2012, quando i creditori dovettero accettare la ristrutturazione (haircut) del debito ellenico e, in seguito, nel giugno 2015 quando non la Grecia mancò il pagamento del prestito da $1,7 mld concesso dal Fondo Monetario Internazionale (IMF).

Rischio di una variazione dei tassi d’interesse

A seguito dell’ondata di liquidità e del programma d’acquisto (Quantitative Easing) dei titoli governativi condotto dalla BCE, oggi i rendimenti sui Titoli di Stato europei sono molto bassi. Così bassi, che a scadenze brevi (fino a 36 mesi) la maggior parte di essi sono addirittura negativi. Per gli investitori, dunque, occorre spostarsi verso scadenze (e duration) più lunghe per avere un rendimento positivo.

Questa scelta può nascondere un’insidia per l’investitore: infatti, all’aumentare della vita media di un titolo obbligazionario a tasso fisso, cresce anche la sensibilità del suo prezzo ai movimenti dei tassi di interesse. Ricordando che se i tassi salgono i prezzi dei titoli scendono (la relazione tassi/prezzi è inversa) ciò significa che se i tassi aumentano il prezzo del titolo a lunga scadenza scende più di un titolo a breve.

Rischio di concentrazione

A causa dei tagli minimi richiesti, investire in titoli di Stato presenta un ulteriore rischio da non sottovalutare, soprattutto per i piccoli risparmiatori. Stiamo parlando del rischio di concentrazione del Paese in portafoglio, che potrebbe esporre a conseguenze drammatiche in caso di default dello stesso.

La maggior parte dei risparmiatori non è in grado di comprare un numero di titoli e di emittenti sufficientemente elevato e dunque i portafogli risultano poco diversificati e troppo legati alle sorti di pochi paesi o emittenti.

Detto questo però non si può negare che nella maggior parte dei casi Titoli di Stato siano un investimento meno rischioso rispetto, ad esempio, alle azioni.

Il consiglio più utile per il piccolo investitore intenzionato ad investire in titoli di Stato è quello di considerare l’ipotesi dei fondi comuni obbligazionari, che consentono di beneficiare dei vantaggi di una migliore diversificazione di portafoglio ad importi accessibili a tutte le tasche.

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