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Il capitalismo funziona ancora?

Perché il capitalismo è stato oggetto di una diffusa e radicata ostilità? Eppure, nel corso della sua ormai lunga storia, ha sollevato dalla miseria molti milioni di persone.

di Una finestra sul mondo - 10 Novembre 2016 - 5'

Torna a Book City Milano Leggere l’economia con AcomeA, due giorni in cui saliranno sul palco del Teatro Franco Parenti economisti e accademici di fama internazionale con un preciso obiettivo: scardinare i luoghi comuni e i falsi miti che ci allontanano dall’economia e dalla finanza.

Il Capitalismo, l’evoluzione dell’opinione su di esso e la sua perenne condanna che lo caratterizza dalla notte dei tempi fino ad oggi, saranno i temi trattati nell’incontro del 20 Novembre. “C’è mai stato un tempo in cui ci si è sentiti veramente a proprio agio con il capitalismo?” è una delle domande che spesso vengono poste a John Plender, autore de La verità sul capitalismo (Capitalism: Money, Morals and Markets) che sarà sul palco proprio per raccontare e analizzare i paradossi, le insidie, i pregi e i difetti di questo sistema. A questo proposito riprendiamo un interessante articolo di The Economist.

Le preoccupazioni riguardo all’impatto della diseguaglianza economica sulla coesione sociale hanno sollevato una serie di dubbi sulla moralità e sui fondamenti etici del libero mercato. Ma, come John Plender sottolinea nel suo nuovo libro, i malcontenti legati agli effetti del capitalismo risalgono alla notte dei tempi. La ricerca del profitto è stata disprezzata sin da quando Platone ne “La Repubblica” fece dire a Socrate “più gli uomini pensano a fare fortuna, meno pensano alla virtù”. Il sentimento di satira e critica “anti-business” ha caratterizzato i ripugnanti commensali del banchetto di Trimalcione nel Satyricon di Petronio ed è continuato anche nel XVII secolo con la figura dell’avaro Molière fino ai ritratti degli spaventosi padroni del XIX secolo di Charles Dickens e Emile Zola, giungendo alla moderna incarnazione dell’avarizia in Grodon Gekko nel film “Wall Street”.

Plender, che ha lavorato per The Economist, è editorialista del Financial Times. Per molti anni ha scritto incisivamente sull’euforia, le stranezze e i disastri dei mercati finanziari. Ha affrontato i dilemmi del capitalismo con un occhio accorto per i dettagli. Nel suo libro il lettore scopre, per esempio, che Voltaire fu invitato presso la corte di Federico il Grande come intellettuale illuminista, “ringraziò” il monarca della sua ospitalità con una truffa legata a obbligazioni che, se avesse avuto successo, avrebbe potuto mandare in banca rotta l’erario prussiano. Oppure che durante la metà del 1980 alcuni gestori di fondi giapponesi visitavano regolarmente il tempio di Madame Nui, una ristoratrice il cui rospo di porcellana dava loro dritte sulle azioni – per un po’ di tempo con successo, costruendosi un portafoglio del valore di $10 miliardi – fino al loro collasso quando la bolla giapponese scoppiò nel 1990. Se dunque i liberi mercati emergono come dinamici, la loro pretesa di essere razionali è decisamente sospetta.

Ma Plender è sufficientemente saggio da far emergere che nonostante tutte le sue colpe, il capitalismo ha aumentato gli standard di vita di miliardi di persone a partire dal XVIII secolo e ha migliorato le loro aspettative di vita. Il rapido miglioramento dei tassi di crescita della Cina e dell’India negli ultimi decenni, nel loro cammino (anche se non ancora concluso) verso il capitalismo, sono segnali ulteriori della vitalità del sistema, come lo è il contrasto tra la capitalista Corea del Sud e la comunista Corea del Nord.

Il risveglio della retorica anti-capitalistica deve molto alla crisi finanziaria del 2008 e alle sue conseguenze. La crisi è stata l’esempio più recente dell’intrinseca instabilità del capitalismo, un processo che, nonostante permetta all’economia di beneficiare della “distruzione creativa”, ha causato parecchi danni collaterali. Il vero problema è che il capitalismo è spesso identificato con la “mala” finanza, invece che con l’eroica imprenditorialità di personaggi come Thomas Edison, le cui invenzioni ci circondano tutt’ora. Questa situazione non è dovuta solamente al fatto che i prodotti finanziari complessi sono a beneficio di pochissime persone. Plender aggiunge che “I banchieri indubbiamente hanno fatto del loro meglio per attribuire un brutto nome al capitalismo. La scala straordinaria sulla quale le grandi banche hanno alterato i tassi di interesse e i mercati dei cambi e hanno fregato i loro clienti è quasi al di là di ogni comprensione”.

Plender ritiene che un’altra grande crisi finanziaria sia inevitabile – i colossi bancari internazionali sono diventati ancora più grandi e più interconnessi. Ma pensa anche che il mondo se la caverà; il capitalismo si adatterà come ha già fatto in molti casi nel passato. In conclusione, richiama le parole di Churchill sulla democrazia: “il capitalismo è la peggior forma di gestione dell’economia, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che sono state sperimentate finora”.

Il dibattito del 20 novembre si preannuncia come molto stimolante. L’ingresso è libero su prenotazione qui.

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