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Il rischio della ripresa in Europa

In Europa aumentano la fiducia dei consumatori e le previsioni di crescita. Un articolo recente su Project Syndicate racconta da dove nasce questo miglioramento degli indicatori e soprattutto perché potrebbe essere dannoso per la sostenibilità di lungo periodo dell’Unione Europea.

di Una finestra sul mondo - 21 Aprile 2015 - 6'

In Europa aumentano la fiducia dei consumatori e le previsioni di crescita. Un articolo recente su Project Syndicate racconta da dove nasce questo miglioramento degli indicatori e soprattutto perché potrebbe essere dannoso per la sostenibilità di lungo periodo dell’Unione Europea.

Dopo una recessione duplice e un lungo periodo di stagnazione, l’eurozona sta finalmente vedendo qualche segnale di ripresa. La fiducia dei consumatori sta aumentando. Le vendite al dettaglio e l’immatricolazione di automobili crescono. La Commissione europea prevede una crescita del 1,3% quest’anno, che non è male per gli standard europei. Potrebbe tuttavia essere molto male per le riforme in Europa.

Non è difficile vedere la ragione per cui la crescita è tornata a farsi vedere. La Banca Centrale Europea (BCE) ha annunciato a fine gennaio un ambizioso programma di acquisto di titoli – il quantitative easing. Questa prospettiva ha rapidamente fatto svalutare l’euro, supportando la competitività internazionale dei beni prodotti in Europa.

Tuttavia, il deprezzamento dell’euro è troppo recente per poter già mostrare i suoi effetti. L’evidenza storica, per non parlare dell’esperienza giapponese della caduta dello yen, suggerisce che servano diversi trimestri, o addirittura anni, prima che l’impatto positivo del deprezzamento della valuta sulle esportazioni nette sia percepito.

Dunque devono esserci altri fattori all’opera. Uno è che la spesa e la crescita sono oggi sottoposte a una minore pressione da parte del consolidamento fiscale. L’avanzo primario, la misura di credibilità fiscale preferita dal Fondo Monetario Internazionale, è cresciuto di circa 1-1,5 punti percentuali di PIL ogni anno tra il 2010 e il 2012, per poi rimanere pressoché stabile. I due anni successivi di politiche fiscali neutrali hanno fatto la differenza in positivo sulla performance economica.

Inoltre, per quanto non condivisibile l’applicazione iniqua delle regole fiscali della UE, la recente decisione della Commissione europea di concedere alla Francia più tempo per riportare il proprio deficit sotto al 3% del PIL è positiva, essendo nata sullo sfondo di un’economia debole.

Un altro fattore dietro il miglioramento delle aspettative è il progresso significativo che alcuni paesi europei, come la Spagna, hanno fatto sul fronte delle riforme strutturali. La regolamentazione del mercato del lavoro è stata ammorbidita e il costo unitario del lavoro è diminuito. Anche questo si traduce in un miglioramento della produttività europea.

Una terza concausa delle ripresa è il fatto che le banche e i mercati finanziari sono oggi meno vulnerabili alla crisi greca. Le banche francesi e tedesche sono state in grado di vendere i titoli greci in loro possesso, in larga misura alla BCE, che ha agito come compratore di ultima istanza. La BCE ha inoltre promesso di intervenire in supporto dei mercati del credito dei paesi europei in caso di incidenti sul fronte greco. Quindi, la ripresa europea è meno a rischio di deragliare a causa dell’instabilità proveniente da Atene.

Quarto e ultimo, anche i gatti morti rimbalzano [espressione che, sui mercati, indica il temporaneo rimbalzo del prezzo di un titolo che sta crollando, per poi proseguire il trend discendente].

La crescita economica cura diverse ferite. Rafforza i bilanci delle banche riducendo il peso dei crediti deteriorati. Stringe i disavanzi di bilancio pubblici aumentando le entrate fiscali e contenendo la spesa per welfare. Facendo crescere il denominatore del rapporto debito /PIL, aumenta la fiducia nella sostenibilità del debito. Inoltre, produce questi effetti automaticamente, senza che le autorità debbano fare nulla di più.

Sfortunatamente per l’Europa, la crescita riduce l’urgenza percepita di agire laddove sarebbe necessario farlo, come in Grecia, ad esempio. Dal momento che il resto d’Europa cresce, altri governi si credono in una posizione economica più forte, e sono quindi meno inclini a scendere a compromessi con la Grecia. Tutti capiscono che il compromesso è preferibile a un collasso delle negoziazioni, a un default disordinato e ad un’uscita forzata della Grecia dall’euro. Tuttavia, più fiducioso diventa il resto d’Europa circa la solidità della propria ripresa, più adotta una linea intransigente – e più un fallimento incontrollato diventa probabile.

Allo stesso modo, più c’è ripresa e una crescita sostenuta del rafforzamento dei bilanci delle banche, meno incombente è la necessità per i politici di affrontare i nodi strutturali, come le garanzie implicite di cui beneficiano le banche nazionali e le banche di risparmio municipali in Germania, o il problema delle banche a controllo familiare come Banco Espirito Santo in Portogallo.

E anche il 2% di crescita annua non renderà sostenibili i debiti europei a tre cifre. L’Europa ha ancora bisogno di una ristrutturazione del debito, anche se i leader del continente si rifiutano di accettarlo. La ripresa economica tutt’al più permetterà di rimandare l’inevitabile giorno del regolamento dei conti.

Infine, ci sono le riforme più ambiziose, l’unione fiscale e politica, che devono andare a sostenere l’unione monetaria perché l’Europa possa evitare in futuro il ripresentarsi di una crisi simile. Se c’è una lezione da imparare dal recente travaglio europeo è che l’unione monetaria, senza un’unione anche politica e fiscale, non funzionerà. Ora, data l’intensa opposizione a un’integrazione fiscale e politica, il progresso, se prenderà piede, dovrà passare da negoziati difficili e divisivi. Quindi una crescita economica che si registrerà senza queste misure creerà incentivi a rimandarle.

Il problema, detto semplicemente, è che molte delle condizioni che hanno prodotto alla crisi della zona euro non sono state affrontate. Se oggi l’Europa cresce senza prendere le difficili decisioni per affrontarle, queste decisioni diventeranno sempre meno facili da prendere.

Nei paesi in via di sviluppo si dice che i tempi buoni sono tempi cattivi per le riforme economiche.

Benvenuti nell’Europa in via di sviluppo.

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