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Il risparmio tar-tassato

Il risparmio rappresenta un valore costituzionale. A fissare questo principio è la Costituzione Italiana che all’art.47 sancisce l’incoraggiamento e la tutela del risparmio “in tutte le sue forme” e il suo accesso “diretto e indiretto all’investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”. E allora come è possibile che nel momento del bisogno proprio lo Stato si dimentichi del dettato costituzionale attuando politiche aggressive invece che protettive e incoraggianti?

di Flavio Talarico - 18 Marzo 2014 - 4'

Il risparmio rappresenta un valore costituzionale. A fissare questo principio è la Costituzione Italiana che all’art.47 sancisce l’incoraggiamento e la tutela del risparmio “in tutte le sue forme” e il suo accesso “diretto e indiretto all’investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”. E allora come è possibile che nel momento del bisogno proprio lo Stato si dimentichi del dettato costituzionale attuando politiche aggressive invece che protettive e incoraggianti?

Se c’è un nocciolo duro dell’economia italiana che ha resistito alla crisi è proprio quello del risparmio, serbatoio che negli ultimi anni ha consentito al Paese di reggere l’urto della crisi aiutando le imprese a finanziarsi. Eppure non è storia di oggi che, all’occorrenza, sia proprio questo baluardo il bersaglio preferito del fisco.

L’innalzamento dell’aliquota sulle rendite finanziare, ad eccezione dei titoli di Stato, dal 20% al 26%, annunciato dal nuovo Governo, è solo l’ultima scure che si è abbattuta sui risparmiatori italiani. Come fa notare il Sole 24Ore, quando si tratta di confrontare diversi tipi di investimenti infatti il peso complessivo del fisco non può essere misurato considerando solo l’imposta delle rendite. A questa vanno aggiunti tutti gli altri tributi, a partire dalla Tobin Tax, per passare dall’Ivafe (l’imposta sulle attività finanziarie detenute all’estero), dalla ritenuta sui depositi o sui titoli di Stato, senza dimenticare, ovviamente, l’imposta di bollo salita allo 0,2%. Ve la ricordate?

Secondo i calcoli del quotidiano, su un ipotetico investimento in azioni da 50.000 euro, con un dividendo totale di 1.500 euro, mettendo insieme tutti i tributi, il carico fiscale salirebbe al 36%, che arriverebbe fino al 40% in caso di rendimenti più bassi. Prendendo in esame altri prodotti d’investimento, come obbligazioni societarie o fondi comuni di investimento, il rincaro, secondo il Sole, sarebbe il 32,7%.

Innalzare la tassazione sulle rendite finanziarie non è un errore, soprattutto se questa trova fondamento nella necessità di far ripartire il sistema paese attraverso una riduzione del cuneo fiscale per ridurre la disoccupazione e far crescere i consumi. Ma la manovra dell’esecutivo va in una direzione opposta a quella del dettato dell’art.47, dimenticando l’esigenza di protezione e promozione del risparmio.

Come detto, nella rimodulazione del prelievo sulle rendite volute dal nuovo governo, si è fatta eccezione dei titoli del Tesoro. L’esempio pratico torna dunque utile per capire di quanto la forbice tra Stato e imprese si sia allargata. Un investimento di 50.000 euro in Btp con un rendimento ipotizzato del 3% annuo produrrebbe una cedola di 1500 euro. A questo però va sottratto lo 0,2% dell’imposta di bollo sul patrimonio (100 euro), e il 12,5% della ritenuta fiscale sugli interessi (187,5 euro). Dei 2000 euro lordi ne resterebbero quindi 1712,5 euro con un’erosione fiscale del 19,2%.

Con questi due esempi, a parità di ammontare investito e rendimento, i quasi 20 punti percentuali di differenza nell’onere fiscale a carico del risparmiatore, rendono evidente che la manovra del governo non solo si oppone al principio di protezione e promozione del risparmio, ma accentua l’effetto ampiamente distorsivo nell’allocazione delle risorse dovuto alla differente tassazione.

Con l’entrata in vigore dell’imposta sulle rendite (ancora non è chiaro se questo avverrà dal 1* maggio o dal 1* luglio) gli investitori saranno sempre più costretti a fare maggiore attenzione al carico fiscale nelle scelte di portafoglio. Conseguenza naturale sarà la predilezione verso settori meno produttivi, come quello statale, a discapito del comparto privato e produttivo. Un toccasana per un’economia in cui il mercato dei capitali è appannaggio solo di quella stretta minoranza rappresentata dalle grandi imprese, mentre la stragrande maggioranza del sistema produttivo annaspa in un credit crunch ormai quasi strutturale.

Dal 2011 ad oggi, i Governi che si sono succeduti, da Berlusconi a Renzi, hanno iniziato una corsa al prelievo sulla ricchezza delle famiglie che ha toccato tassi d’incremento allucinanti. Stando ai conti effettuati dal Sole 24Ore, dal 2011 al 2013 il gettito derivante dalle tasse sul risparmio è passato da 6,7 miliardi di euro a 17,516 miliardi di euro, un aumento pari al 159,5%. Non c’è dunque pace per il risparmio italiano.

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