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L’Europa e quel disperato bisogno di migranti

È difficile mettere d’accordo due economisti. Diverse scuole di pensiero si scontrano su tutto, dal ruolo dello stato nell’economia, a quello della banca centrale, alla composizione del fisco. A leggere però in questi giorni molti commenti, sembra che ci sia una tesi che è portata avanti da molti esperti, indipendentemente dalla nazionalità, dall’orientamento politico e dal ruolo: l’Europa dovrebbe accogliere i migranti, ne ha bisogno. Ecco l’opinione di Ian Buruma, in un recente articolo pubblicato su Project Syndicate.

di Una finestra sul mondo - 8 Settembre 2015 - 7'

È difficile mettere d’accordo due economisti. Diverse scuole di pensiero si scontrano su tutto, dal ruolo dello stato nell’economia, a quello della banca centrale, alla composizione del fisco. A leggere però in questi giorni molti commenti, sembra che ci sia una tesi che è portata avanti da molti esperti, indipendentemente dalla nazionalità, dall’orientamento politico e dal ruolo: l’Europa dovrebbe accogliere i migranti, ne ha bisogno. Ecco l’opinione di Ian Buruma, in un recente articolo pubblicato su Project Syndicate.

Com’è commovente atterrare in Germania, dove i tifosi di calcio espongono striscioni con slogan di benvenuto per i migranti provenienti dal Medio Oriente, dilaniato dalla guerra. La Germania è la nuova Terra Promessa per i disperati, gli oppressi e i sopravvissuti alla guerra e alle devastazioni.

Anche i popolari tabloid tedeschi, solitamente poco propensi ad un atteggiamento caritatevole, sostengono la spinta ad aiutare. Mentre i politici nel Regno Unito e in altri paesi, puntano i piedi e spiegano perché anche il minimo flusso di siriani, libanesi, iracheni o eritrei costituisce una minaccia letale per il tessuto sociale dei loro paesi, “Mama Merkel” promette che la Germania non chiuderà la porta in faccia a nessun legittimo rifugiato.

È previsto che circa 800.000 rifugiati entreranno in Germania quest’anno, mentre il Primo ministro inglese David Cameron si agita a fronte di meno di 30.000 richieste d’asilo, mettendo in guardia solennemente sulla migrazione di “sciami di persone” attraverso il Mare del Nord. Inoltre, a differenza di Merkel, Cameron è in parte responsabile di aver alimentato una guerra (in Libia) che ha reso intollerabile la vita di milioni di persone. Non sorprende che Merkel chieda ad altri paesi europei di accogliere più rifugiati nell’ambito di un sistema di quote obbligatorie.

In realtà, malgrado i discorsi preoccupati dei suoi politici, la Gran Bretagna è un paese multietnico e, in un certo senso, con una società più aperta rispetto alla Germania. Londra è di gran lunga più cosmopolita di Berlino o Francoforte e, tutto sommato, la Gran Bretagna ha beneficiato molto dell’immigrazione. Il National Health Service ha avvertito che l’ingresso di meno immigrati sarebbe catastrofico in quanto lascerebbe gli ospedali inglesi a corto di personale.

Questo atteggiamento nella Germania di oggi potrebbe essere eccezionale. Politiche di accoglienza dei rifugiati, o di qualunque immigrato, sono difficilmente punti con cui si attira consenso politico. Alla fine degli anni Trenta, quando gli ebrei in Germania e in Austria, erano in pericolo di morte, pochi paesi, inclusi i ricchi Stati Uniti, erano pronti ad accogliere più di una manciata di rifugiati. Nel 1939 il Regno Unito permise all’ultimo minuto a circa 10.000 bambini ebrei di entrare, ma solo se avevano in Gran Bretagna chi garantiva per loro e se entravano non accompagnati dai genitori.

Dire che l’atteggiamento generoso della Germania ha a che fare con le responsabilità del passato è una forzatura. Anche il Giappone porta il fardello dei crimini storici ma il suo atteggiamento verso gli stranieri in difficoltà è molto meno accogliente. Anche se pochi tedeschi hanno ricordi del Terzo Reich, molti sentono il bisogno di provare che hanno imparato qualcosa dalla storia del proprio paese.

Tuttavia il focus esclusivo dei politici e dei media sull’attuale crisi dei rifugiati nasconde più ampi temi legati in generale all’immigrazione. Le immagini delle miserabili famiglie di profughi alla deriva nel mare, in balia di spietati contrabbandieri e criminali, possono facilmente muovere a pietà e compassione (non solo in Germania). Anche Cameron ha dovuto ammorbidire i toni, promettendo di accettare qualche migliaio di rifugiati perché commosso “come padre” dalla foto del bambino siriano affogato.

Molte persone che attraversano i confini dell’Europa per cercare lavoro e costruirsi una nuova vita non sono però rifugiati. Quando le autorità britanniche hanno espresso disappunto per i 300.000 nuovi ingressi al netto di chi ha lasciato il paese nel 2014, non si riferivano in particolare ai richiedenti asilo. La maggior parte dei nuovi venuti è originaria di altri paesi dell’Unione europea, come la Polonia, la Romania e la Bulgaria.

Alcuni entrano per studiare, altri per cercare un lavoro. Non vengono per salvare le proprie vite ma per migliorarle. Assimilando sempre i richiedenti asilo ai migranti economici, questi ultimi sono screditati, come se cercassero di entrare con falsi pretesti.

Si ritiene che i migranti economici, dall’interno o dall’esterno dell’UE, siano persone povere che vengono per vivere sulle spalle dei contribuenti relativamente più ricchi. In realtà, molti di loro non sono scrocconi. Vogliono lavorare.

I benefici per il paese ospite sono evidenti: i migranti economici spesso lavorano più duramente dei residenti per un salario più contenuto. Questo ovviamente non è nell’interesse di tutti: evidenziare i benefici di una forza lavoro a minor costo non convincerà chi rischia di vedere una riduzione del proprio stipendio. Ad ogni modo, è più facile provare compassione per i rifugiati che non accettare i migranti economici. Anche in Germania.

Nel 2000 il Cancelliere tedesco Gerhard Schröder propose di fornire un visto lavorativo a circa 20.000 stranieri altamente qualificati, provenienti soprattutto dall’India. La Germania ne aveva un enorme bisogno, ma Schröder incontrò una fiera opposizione. Un politico coniò lo slogan “Kinder statt Inder” (bambini anziché indiani).

Ma i tedeschi, così come i cittadini di molti paesi sviluppati, non fanno abbastanza figli. Questi paesi hanno bisogno di giovani immigrati con energie e abilità per svolgere le mansioni che i residenti, per volontà o inabilità, non coprono più. Questo non significa che tutti i confini debbano essere aperti a chiunque. L’idea di Angela Merkel sulle quote di rifugiati dovrebbe essere applicata anche ai migranti economici.

Al momento comunque l’UE non è riuscita a produrre una politica sulle migrazioni coerente. I cittadini dell’Unione possono muoversi liberamente al suo interno (la Gran Bretagna vuole impedirlo, ma è poco probabile che ciò accada). Tuttavia la migrazione economica da paesi non-UE, sotto attenta regolamentazione, è sia legittima che indispensabile. Questo non perché i migranti meritino la compassione degli europei, ma perché l’Europa ne ha bisogno.

Non sarà facile. Molte persone sono facilmente influenzate dalle proprie emozioni – che posso portarli dalla calorosa compassione fino agli stermini di massa – più che dal calcolo freddo e razionale dei propri interessi.

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