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La democrazia nel XXI secolo

Il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz riflette sulle tematiche sollevate dal best seller di Thomas Piketty. La disuguaglianza economica è strettamente legata ad una disuguaglianza politica. Ecco l’articolo comparso su Project Syndicate.

di Una finestra sul mondo - 17 Ottobre 2014 - 6'

Il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz riflette sulle tematiche sollevate dal best seller di Thomas Piketty. La disuguaglianza economica è strettamente legata ad una disuguaglianza politica. Ecco l’articolo comparso su Project Syndicate.

NEW YORK – L’accoglienza negli Stati Uniti e in altre economie avanzate del recente libro di Thomas Piketty, Il Capitale nel XXI Secolo, testimonia la crescente preoccupazione per l’aumento della disuguaglianza. Il libro contribuisce ulteriormente alla mole di dati riguardanti la quota crescente di reddito e ricchezza che afferisce alle fasce più ricche della popolazione.

Il libro di Piketty, inoltre, fornisce una prospettiva inedita dei circa 30 anni che seguirono la Grande depressione e la Seconda guerra mondiale, guardando a questo periodo come ad un’anomalia storica, creata forse dall’inusuale coesione sociale che eventi catastrofici possono stimolare. In quell’era di rapida crescita economica, il benessere era ampiamente condiviso, facendo progredire tutti i gruppi sociali, ma più rapidamente quelli più disagiati.

Piketty ha anche messo sotto una nuova luce le “riforme” vendute da Ronald Reagan e Margaret Thatcher negli anni Ottanta come incentivanti la crescita e da cui tutti avrebbero dovuto trarre beneficio. Le loro riforme hanno innescato una crescita più lenta e una forte instabilità globale, e nei casi in cui c’è stata una crescita, ne hanno beneficiato soprattutto i più ricchi.

Il lavoro di Piketty solleva questioni fondamentali riguardo la teoria economica e il futuro del capitalismo. L’autore documenta il rapido aumento del rapporto tra ricchezza e reddito. Nell’ambito della teoria standard, tale aumento sarebbe associato a una caduta del tasso di rendimento del capitale e a un aumento dei salari. Tuttavia oggi il tasso di rendimento del capitale non sembra essere diminuito, mentre i redditi sì. (Negli Stati Uniti, per esempio, il salario medio è rimasto invariato durante gli ultimi quarant’anni).

La spiegazione più ovvia è che l’aumento della ricchezza non è guidato da un aumento di capitale produttivo – e i dati sembrano confermare questa interpretazione. Gran parte dell’aumento della ricchezza deriva da una crescita del valore degli immobili. Prima della crisi finanziaria del 2008 in molti Paesi era evidente una bolla sul settore immobiliare; anche adesso potrebbe non essere ancora avvenuta una totale “correzione”. L’incremento del valore potrebbe derivare da una competizione tra i più ricchi per l’acquisto di beni “posizionali” – una casa sulla spiaggia o un appartamento a New York sulla Quinta Strada.

Alle volte, l’aumento della ricchezza finanziaria corrisponde a poco più di uno spostamento da ricchezza “non misurata” a ricchezza misurata – passaggio che potrebbe in effetti riflettere un peggioramento della performance economica complessiva. Se aumenta il potere monopolistico, o le imprese (come le banche) sviluppano metodi migliori per sfruttare i normali consumatori, si avranno maggiori profitti e, quando capitalizzati, un aumento della ricchezza finanziaria.

Quando ciò accade, diminuiscono il benessere della società e l’efficienza economica, anche se ufficialmente si registra un incremento della ricchezza. Semplicemente non prendiamo in considerazione la corrispondente riduzione del valore del capitale umano – la ricchezza dei lavoratori.

Inoltre, se le banche riescono con successo a sfruttare la propria influenza sulla politica per socializzare le perdite e trattenere una quota sempre maggiore dei loro guadagni ottenuti in maniera perversa, la ricchezza del settore finanziario aumenta. Non misuriamo la corrispondete riduzione della ricchezza dei contribuenti. Allo stesso modo, se le grandi imprese convincono il Governo a pagare più del dovuto i propri prodotti (come hanno fatto le principali aziende farmaceutiche), o se viene loro garantito accesso alle risorse pubbliche ad un prezzo inferiore a quello di mercato (come è avvenuto per le compagnie minerarie), la ricchezza finanziaria aumenta, ma non quella dei cittadini comuni.

Quanto abbiamo osservato – stagnazione dei salari e aumento della disuguaglianza, malgrado l’aumento di ricchezza – non riflette il funzionamento di una normale economia di mercato, ma di quello che io chiamo capitalismo “ersatz” (ndr, surrogato). Il problema potrebbe non riguardare il modo in cui i mercati dovrebbero funzionare o funzionano, quanto il nostro sistema politico, che ha fallito nell’assicurare la concorrenzialità dei mercati e ha definito regole che preservano mercati distorti in cui le società e i ricchi possono sfruttare (e sfortunatamente lo fanno) chiunque altro.

I mercati ovviamente non possono esistere avulsi dal contesto. Devono esserci chiare regole del gioco. Gli elevati livelli di disuguaglianza economica in Paesi come gli Stati Uniti e, sempre più, tra quelli che hanno seguito il loro modello economico, conducono a disuguaglianza politica. In un tale sistema, le opportunità per un progresso economico diventano anch’esse inique, aggravando i bassi livelli di mobilità sociale.

Le previsioni di Piketty di un ancor più elevato livello di disuguaglianza non riflettono le inesorabili leggi economiche. Semplici cambiamenti – quali maggiori tasse sui redditi da capitale e sull’eredità, maggiore spesa per allargare l’accesso all’educazione, rigorosa implementazione di leggi antitrust, riforme di corporate governance che circoscrivano i compensi dei dirigenti e normative in ambito finanziario che frenino la capacità delle banche di sfruttare il resto della società – ridurrebbero la disuguaglianza e aumenterebbero sensibilmente l’equo accesso alle opportunità.

Se creiamo regole del gioco corrette, potremmo anche riuscire a porre le condizioni per la rapida ed equamente condivisa crescita economica che ha caratterizzato le società del ceto medio della metà del XX secolo. Il tema principale che dobbiamo affrontare oggi non è in realtà in capitale nel XXI secolo. È la democrazia nel XXI secolo.

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