Rimani sempre aggiornato

Per te, ogni due settimane, una selezione dei migliori articoli del blog.

Informativa ai sensi dell'articolo 13 del D.lgs. 196/03

Seguici

Investimenti: quanto costa non conoscere la diversificazione?

La diversificazione di portafoglio è un concetto correttamente interpretato soltanto dal 6% dei risparmiatori italiani. La ridotta diversificazione è addirittura adottata volontariamente sulla base di alcuni bias di finanza comportamentale.

di Flavio Talarico - 28 Ottobre 2016 - 5'

Gli italiani sono un popolo di risparmiatori. Sin da piccoli siamo stati abituati a mettere da parte i piccoli risparmi nei nostri salvadanai ma quando arriva il momento di investire molti di noi o lo evitano oppure lo fanno in modo errato. Infatti, concetti come la diversificazione, rischio o la relazione tra rischio e rendimento oltre a non noti ad alcuni sono, a volte, intenzionalmente ignorati e i nostri investimenti ne pagano le conseguenze.

Secondo un recente sondaggio condotto da Gfk Eurisko, l’83% degli investitori italiani afferma di avere come obiettivo d’investimento il capitale garantito e di voler assumere rischi pari a zero anche a costo di ritorni bassi o bassissimi. Tuttavia, pochi tengono in considerazione che accumulare troppa liquidità significa perdere opportunità importanti che farebbero fruttare i nostri risparmi, compromettendo così i principali obiettivi che ognuno si prefigge (la pensione, la casa, i figli ecc).

Non è un caso che il 6.5% degli intervistati confessi di tenere i propri risparmi principalmente in banca. Solo il 9% afferma di avvalersi di un consulente per pianificare i propri obiettivi finanziari, mentre il 37% fa ancora uso del “passaparola” di amici e conoscenti. Da questi dati si evidenzia una delle gravi debolezze degli italiani, più propensi a gestire da soli la propria ricchezza, esponendosi così a maggiori probabilità di errore, anziché rivolgersi a operatori professionali che hanno esperienza e informazioni adatte per investire. In mancanza di una solida cultura finanziaria, come nel caso nostro, l’uso del fai-da-te comporta notevoli rischi: mancanza di una corretta diversificazione dei titoli in portafoglio, non riuscire a capire i tempi di ingresso e uscita dall’investimento ecc.

A proposito dell’importanza della diversificazione, numerosi studi hanno dimostrato che il contributo al rendimento di una corretta allocazione di portafoglio può arrivare a pesare fino all’ 80%-90% del risultato finale del proprio investimento, tuttavia costruire da sé un portafoglio d’investimento in modo corretto non è certamente un’impresa facile. E’ anche vero che la consulenza può essere costosa per chi ha somme modeste da investire, ma sul mercato esistono opportunità di investimento “fai-da-te” che uniscono i vantaggi della diversificazione dei fondi comuni a quelli della consulenza digitalizzata dei robo-advisor. Il grande vantaggio è unire i benefici della diversificazione dei fondi comuni e l’abbattimento dei costi della consulenza. I fondi comuni permettono anche a un investimento contenuto di poter trarre gli stessi benefici sopra citati, senza fare discriminazioni tra i sottoscrittori.

A tale proposito, una delle regole basilari dell’allocazione del risparmio “non mettere tutte le uova nello stesso paniere”, dovrebbe essere chiara e alla portata di tutti. Eppure, la diversificazione di portafoglio è un concetto correttamente interpretato soltanto dal 6% dei risparmiatori italiani, come testimonia il recente studio Consob. Con diversificazione si intende ripartire il capitale in tanti strumenti finanziari che sono poco o negativamente correlati tara di loro. I risparmi delle famiglie italiane sono ancora oggi pilotati da vecchie consuetudini secondo le quali l’investimento nel mattone o in titoli di Stato rappresentino una delle migliori occasioni d’investimento.

Ad allarmare però ancor di più sono i casi in cui la ridotta diversificazione è addirittura adottata volontariamente sulla base di alcuni bias di finanza comportamentale. Uno di questi è il cosiddetto domestic (o home) bias, secondo il quale il portafoglio d’investimento si caratterizza per una massiccia presenza di attività finanziarie del Paese d’origine dell’investitore. Le ragioni legate a questo comportamento sono il maggiore controllo o la migliore capacità di interpretazione delle notizie, ma tutto ciò non è direttamente riconducibile ad un effettivo miglioramento del profilo rischio/rendimento del proprio portafoglio che viene in realtà notevolmente esposto alle incognite del Paese.

Uno studio condotto da Tiziano Bellemo, advisor e docente LIUC ( Libero Istituto Universitario Carlo Cattaneo), ha mostrato empiricamente l’inefficienza del nostro portafoglio se decidessimo di investire in azioni o titoli di un unico paese. Nel caso specifico, assumendo un arco temporale compreso tra gennaio 1999 e settembre 2016, un ipotetico portafoglio costituito da sole azioni italiane avrebbe generato ritorni negativi (-7,4%). Al contrario, l’efficienza sarebbe decisamente aumentata investendo in un paniere di azioni dell’ Eurozona (che ha avuto un rendimento positivo del 72%) e avrebbe raggiunto il suo massimo (+115%) se nel mix fossero state incluse azioni di tutti i mercati internazionali. Pertanto, un investitore italiano che avesse sistematicamente preferito delimitare il suo portafoglio in attività finanziarie (azioni o titoli) domestiche, non avrebbe ottenuto alcun vantaggio ma anzi avrebbe sofferto una perdita. Comprare solo e soltanto italiano è un scelta che di certo può tornare utile quando facciamo la spesa al supermercato, ma della quale non dovremmo abusare qualora volessimo costruire un portafoglio d’investimento correttamente diversificato secondo aree geografiche.

Rimani sempre aggiornato

Per te, ogni due settimane, una selezione dei migliori articoli del blog.

Informativa ai sensi dell'articolo 13 del D.lgs. 196/03