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Le banche e i fondi di casa propria: l’imbarazzo della non scelta

La SEC, la commissione per la tutela degli investitori e dei mercati, equivalente statunitense della nostra Consob, sta indagando su una delle principali banche americane, JPMorgan, in merito all’uso fatto dalla banca dei propri prodotti nelle gestioni patrimoniali.

di Anna Schwarz - 8 Maggio 2015 - 4'

La SEC, la commissione per la tutela degli investitori e dei mercati, equivalente statunitense della nostra Consob, sta indagando su una delle principali banche americane, JPMorgan, in merito all’uso fatto dalla banca dei propri prodotti nelle gestioni patrimoniali. L’ipotesi è quella che la banca abbia adottato strategie che, tramite bonus e altri incentivi, abbiano spinto i propri consulenti a inserire nei portafogli dei clienti i fondi comuni della stessa JPMorgan, prodotti che fruttano quindi commissioni maggiori per la banca.

Al di là dell’esito delle indagini, che faranno il loro corso, interessante è il timore che ha mosso la commissione di vigilanza: quello che la banca abbia messo il proprio interesse davanti a quello dei clienti, proponendo loro o acquistando per loro conto, fondi gestiti dalla stessa banca, anziché individuare i prodotti più adatti alle esigenze dei clienti.

Insomma, c’è una banca che propone fondi gestiti dalla banca stessa o da una società controllata. Chiarita la sostanza di quanto sta accadendo in questi giorni negli Stati Uniti, facciamo un salto al mondo del risparmio gestito nostrano, approfittando di una recente ricerca di Assogestioni sulla distribuzione dei fondi comuni in Italia. Lo studio analizza il funzionamento dei canali di distribuzione dei fondi comuni venduti direttamente alla clientela retail. I quasi 300 distributori individuati, tra banche e reti di promotori, sono stati classificati in base all’incidenza dei fondi di terzi, ossia quelli non promossi dal gestore dello stesso gruppo né da un partner strategico, sul totale dei fondi collocati. I distributori cosiddetti “chiusi”, quelli in cui i fondi di terzi pesano meno del 25% di tutti quelli collocati sono la grande maggioranza, sia in termini di numero sia di patrimonio. Per molti distributori appartenenti a questa categoria i fondi di terzi sono esattamente lo 0% dei fondi venduti, il che significa che ogni singolo fondo venduto ai clienti è prodotto dalla società di gestione appartenente allo stesso gruppo del distributore. Più della metà del patrimonio dei clienti retail è stato collocato da distributori “chiusi”, mentre meno del 10% del patrimonio è collocato da distributori “aperti”, quelli per cui i fondi di terzi rappresentano oltre il 75% dei fondi collocati.

Dal punto di vista del cliente ciò significa che, oltre la metà dei risparmi investiti in fondi comuni sono stati investiti tramite distributori che propongono solo, o quasi solo, fondi prodotti da società appartenenti allo stesso gruppo del collocatore.

Proprio in questi giorni, sulle colonne del Sole 24 Ore, si legge “Il risparmiatore dovrebbe sapere se tra la società prodotto e l’intermediario collocatore ci sia uno scambio di incentivi (monetari e non) per consigliare la sottoscrizione di un fondo”.

La recente azione della SEC e la descrizione della realtà italiana, delineata fin troppo chiaramente dai dati di Assogestioni, fanno sorgere diverse domande. Siamo sicuri che tutte le volte in cui a un cliente lo sportello bancario o il promotore finanziario, che erano chiamati (sotto compenso) a fornire una consulenza sull’investimento, abbiano venduto un fondo della società di gestione del gruppo, questa fosse la scelta migliore nell’interesse del cliente? Siamo sicuri che non ci fosse un qualche incentivo a vendere proprio quel fondo e non un altro, gestito da una società non facente parte del gruppo? Siamo certi che il cliente fosse assolutamente consapevole di questo potenziale conflitto di interessi?

A molti la risposta risulta purtroppo scontata. In diversi paesi gli incentivi dalle società prodotto ai collocatori sono stati proibiti, proprio nell’intento di creare maggiore trasparenza e di mettere avanti gli interessi del cliente. La direttiva comunitaria nota come Mifid II, che dovrebbe essere recepita a livello nazionale entro il 2017, è ispirata dagli stessi principi. Speriamo che questo contribuirà a portare anche in Italia a un maggiore livello di tutela per i risparmiatori e ad una maggiore consapevolezza degli stessi.

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