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Perché Morningstar ha bocciato i fondi comuni italiani?

È tempo di pagelle, anche per i fondi comuni di investimento. I risultati ottenuti dai fondi disponibili ai risparmiatori italiani sono però sconfortanti, migliori solo di quelli registrati dalla Cina, che risulta il paese peggiore per un investitore in fondi comuni.

di Alessandro Leozappa - 12 Giugno 2015 - 5'

È tempo di pagelle, anche per i fondi comuni di investimento. I risultati ottenuti dai fondi disponibili ai risparmiatori italiani sono però sconfortanti, migliori solo di quelli registrati dalla Cina, che risulta il paese peggiore per un investitore in fondi comuni.

A dare i voti è Morningstar, la principale istituzione di ricerca sui fondi comuni e prodotti di investimento a livello globale, con la pubblicazione del rapporto Global Fund Investor Experience Report. Lo studio analizza l’esperienza dell’investitore in fondi comuni in 25 diversi paesi, selezionati tra quelli con il maggior numero di sottoscrittori, valutando in particolare la situazione in ogni paese sotto il profilo della tassazione e regolamentazione, della trasparenza, dei costi e dei canali di vendita e informazione.

L’investitore in fondi comuni italiano ne emerge particolarmente male, soprattutto in un confronto internazionale. Il voto finale assegnato all’Italia è pari a C-, come il Giappone e migliore solo della Cina, valutata D+. A guidare la classifica, come paesi con il contesto più favorevole all’investimento in fondi, sono gli Stati Uniti e la Korea, seguiti dai Paesi Bassi e da Taiwan. L’unico ambito in cui il risultato italiano è in linea con la media riguarda la regolamentazione e il trattamento fiscale. Per quanto ciò potrà stupire molti lettori la tassazione minima del 12,5% applicata sui redditi da capitale derivanti da titoli di stato contribuisce a contenere il peso del fisco sull’investimento. Decisamente negativo invece il voto nelle altre tre dimensioni considerate. I fondi comuni italiani risultano più cari della media e l’unico canale utilizzato per accedere al mercato è rappresentato da banche e promotori.

Il costo annuo mediano per un fondo azionario è pari al 2,3% in Italia, contro lo 0,85% negli Stati Uniti. Questo abisso è in realtà meno profondo di quanto possa sembrare a prima vista perché negli USA le commissioni di gestione non incorporano il costo dell’eventuale consulenza. Morningstar stima che il costo di questo servizio, se richiesto, aumenta il costo finale dell’investimento dell’1 – 1,5%, portandosi in un intorno simile al costo sostenuto da un investitore italiano. L’enorme differenza però sta nel fatto che il risparmiatore statunitense sceglie se usufruire di un servizio di consulenza che paga a parte. Sarà quindi incentivato a pretendere un servizio di qualità e a scegliere il professionista che gli dà il maggior valore aggiunto. Nel caso in cui invece il risparmiatore americano sia autonomo nelle proprie scelte acquisterà solo il fondo, pagando quindi le commissioni di gestione ma non i costi connessi alla consulenza. Questa trasparenza nella struttura dei costi aiuta gli investitori a vedere quanto pagano per la consulenza e riduce la possibilità di essere indirizzati verso prodotti più remunerativi per il consulente.

Il risparmiatore italiano è poi penalizzato dal fatto che banche e reti di promotori siano quasi l’unica via di accesso al prodotto fondo comune, dal momento che il ricorso a consulenti non legati a banche o a società di gestione o l’acquisto diretto dalle case prodotto rimangono molto marginali.

La buona notizia per il risparmiatore italiano è che le basi per un radicale cambiamento, sotto entrambi questi aspetti, sono già state poste. Ci sono società di gestione che vendono i propri fondi direttamente online e dallo scorso dicembre è possibile acquistare quote di fondi comuni quotati in Borsa, risparmiando in entrambi i casi sui costi dell’investimento. La creazione e lo sviluppo di entrambi questi canali alternativi avvicineranno l’esperienza dell’sottoscrittore in fondi italiano a quello degli altri paesi. Sarà possibile per ogni risparmiatore scegliere il canale di accesso più adatto alle proprie esigenze. Inoltre aumenterà la chiarezza sulla struttura dei costi per cui il risparmiatore potrà scegliere se farsi accompagnare o meno nel processo di investimento e potrà valutare il servizio ricevuto, valorizzandone la qualità.

Il percorso verso una maturità del settore in Italia sarà tutt’altro che semplice, visto che siamo il paese in cui i fondi più venduti sono quelli a cedola con la finestra di collocamento, prodotti creati appositamente per massimizzare i vantaggi per venditori e collocatori anche a discapito del cliente. Per quei risparmiatori che saranno in grado di coglierle, si stanno però creando diverse opportunità per usare i fondi comuni in maniera più efficiente, nella speranza che questo progresso si estenda poi all’intero settore, avvicinando quindi il risparmiatore italiano a quello statunitense o coreano.

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