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Petrolio: croce o delizia per l’economia?

Ci troviamo davanti a un periodo in cui i mercati devono tenere allacciate le cinture di sicurezza a causa delle turbolenze sul petrolio che potrebbero arrivare prima e dopo la prossima riunione dell’Opec.

di Anna Schwarz - 15 Marzo 2016 - 6'

Dopo diciotto mesi di prolungata fase ribassista culminata con la caduta a 27 dollari al barile, il petrolio ha recuperato terreno nelle ultime settimane attestandosi in area 40$.

La crescita dei prezzi potrebbe essere stata alimentata da mosse strategiche sul congelamento della produzione da parte di Arabia Saudita e Russia, lo scorso 16 febbraio, a Doha, di cui abbiamo parlato in questo blog.

Dal lato della domanda, sono arrivati segnali incoraggianti sulle condizioni economiche della Cina e su alcuni settori chiave dell’industria statunitense.

Sui principali listini finanziari il sentiment sui prezzi dell’oro nero sembra essere migliorato. Come spesso scriviamo su queste pagine, le previsioni sono avvolte nell’incertezza: alla fine del 2015 gli analisti Goldman Sachs avevano previsto un crollo a 20 dollari al barile mai verificatosi, mentre oggi Barclays non vede forti segnali di ripresa a lungo termine. Molto dipenderà dalla prossima riunione dell’OPEC fissata per il 20 Marzo.

E’ utile invece provare a dare risposte ad alcuni interrogativi che si pone l’opinione pubblica: chi sono i vincitori e i vinti di questa partita?

Secondo l’Economist, una diminuzione del prezzo del petrolio del 10% può far aumentare la crescita dello 0,5 – 1 in punti percentuali ma, come vedremo, l’effetto finale potrebbe essere più complesso.

Per i paesi importatori di petrolio, per le imprese che utilizzano il petrolio come input di produzione e per i consumatori,la libera caduta del greggio ha determinato sicuramente dei risparmi stimolando la crescita di alcune economie e settori produttivi.

La Cina, il maggiore consumatore al mondo con 7,5 milioni di barili al giorno, è ospite d’onore al tavolo dei vincitori in quanto un calo del 10% del prezzo del greggio può portare allo 0,3% di crescita supplementare. Stesso discorso vale per l’India (0,5%) el’Indonesia (0,3%).

A beneficiare di un basso prezzo del greggio è stato anche il settore dei trasporti. Nel 2015, le compagnie aeree mondiali hanno speso 180 miliardi di Euro in carburante contro i 226 dell’anno precedente realizzando un risparmio di circa 46 miliardi. Air France ha registrato utili dopo 7 anni consecutivi di perdite, una performance ottenuta in parte grazie a una significativa campagna di riduzione dei costi, ma anche per via di un sostanziale aiuto arrivato dal declino del prezzo dei carburanti.

Notizie positive dal settore dei trasporti e logistica delle merci. Secondo un’indagine di Confetra (Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica) si segnala la crescita dell’autotrasporto italiano (+3%) ed estero (+2,7%), confermato sia dal traffico autostradale cresciuto del 3,3%, sia dai transiti nei valichi alpini aumentati del 2,5%, frutto sia di una crescita della domanda che del calo del prezzo del greggio.

Per gli automobilisti italiani il risparmio è stato più contenuto a causa del peso rilevante delle accise sul costo del carburante che lo rende meno reattivo al calo del prezzo del greggio (come si vede dall’immagine) ma un risparmio c’è stato.

Gli italiani hanno risparmiato 7,1 miliardi di euro alla pompa del distributore. La cifra comprende i 6,2 miliardi relativi al prezzo industriale dei carburanti e i 900 milioni di minor gettito fiscale. Per un auto di media cilindrata, nel 2015 gli automobilisti italiani hanno risparmiatocirca 10 euro ad ogni pieno.

Se il calo del greggio si è rivelato un fattore positivo per alcune economie, per altre invece (Paesi del Golfo, Africa, Sud America e Russia) si contano i danni.

L’Arabia Sauditasi trova a fare i conti con la parola “austerity” dovendo tagliare il budget di spesa per far fronte a un deficit del 15% del Pil.

Meglio non se la passa la Russia, dove la metà delle entrate statali dipende dalle esportazioni di gas e petrolio.

Anche all’interno di una stesa economia si ritrovano effetti contrastanti: mentre i consumatori statunitensi fanno festa, il settore US dell’energia naviga in cattive acque: il rating del 73% delle società energetiche è ormai declassato a junk bond (titoli spazzatura).

Un’altra vittima illustre è la Norvegia dove un buon salmone di 4 chili acquistato al mercato del pesce di Oslo vale più di un barile di Brent. La crescita dello stato scandinavo è tenuta in ostaggio dall’industria del petrolio e del gas e inoltre, il tasso di disoccupazione (4,5%) è tornato ai massimi del 2006.

Oltre ai danni economici, Nigeria, Venezuela e Nord Africa rischiano grosso dal punto di vista dell’instabilità geopolitica.

Infine, a pagare a caro prezzo le conseguenze, sono stati i lavoratori dell’industria petrolifera che, solo nel 2015, ha perso 90 mila posti di lavoro.

Possiamo riassumere questa sfida tra produttori e consumatori di petrolio con un particolare studio condotto da Bloomberg New Energy Finance (BNEF) che ha stimato guadagni e perdite derivanti da un crollo del prezzo del petrolio di 50$ e di 4$ del prezzo del gas naturale (eventi che si sono registrati tra marzo 2014 e marzo 2015).

A conti fatti, il totale dei guadagni equivale a quello delle perdite in termini globali.

Per finire, ci troviamo davanti a un periodo in cui i mercati devono tenere allacciate le cinture di sicurezza a causa delle turbolenze che potrebbero arrivare prima e dopo la prossima riunione dell’Opec ma, nulla di più.

A meno di non ricommettere i clamorosi errori del passato, il rischio di una nuova pesante recessione è abbastanza lontano.

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