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Accordo sul petrolio: effetti collaterali

Settimana di pausa per i prezzi del petrolio in caduta libera da mesi a causa dell'eccesso di produzione, grazie all'accordo tra Russia e Arabia Saudita. Ma si tratta veramente di un'inversione di tendenza?

di Anna Schwarz - 19 Febbraio 2016 - 3'

Il prezzo del petrolio è in caduta libera, perché la domanda è inferiore all’offerta. È così che funzionano i mercati. A metà 2014 il barile quotava 110 dollari, attualmente è intorno ai 30. È per questa ragione che Arabia Saudita e Russia, i due maggiori esportatori di petrolio al mondo, hanno deciso di muoversi stringendo un accordo, che tuttavia non pare soddisfare completamente i mercati. Eppure è la prima volta da 15 anni a questa parte che un paese produttore dell’Opec ed un altro estraneo al cartello decidono una mossa comune.

I mercati, a questa notizia, hanno registrato un rimbalzo del 15% nei prezzi dell’oro nero. Ma si tratta veramente di un’inversione di trend?

Intanto dobbiamo considerare che questa mossa comune si è tradotta in un congelamento della produzione a livelli comunque molto alti e non in una sua riduzione, il che significa che essendo oggi l’eccesso di offerta dell’ordine di 1,5-2 milioni di barili al giorno, prima che si giunga ad un equilibrio con la domanda dovrà passare almeno un anno. Decisamente troppo.

Per quanto riguarda la Russia stiamo parlando inoltre della massima produzione dell’era post-sovietica (10,88 milioni di barili al giorno) che tra l’altro è con ogni probabilità destinata ad aumentare, dal momento che la svalutazione del rublo dei mesi scorsi ha spinto le compagnie russe ad investire nello sfruttamento di nuovi importanti giacimenti destinati a rimpiazzare gradualmente quelli ormai largamente sfruttati della Siberia Occidentale.

Ma c’è un altro fatto che lede gravemente l’importanza di questo accordo, ed è che ad esso non hanno partecipato due altri grandi produttori, Iraq e Iran, ma soprattutto il secondo. Dopo le sanzioni del 2009 la produzione di Teheran era scesa a 2,9 milioni di barili al giorno ed ora, dopo la cancellazione delle stesse, dovrebbe riportarsi ai precedenti 4 milioni di barili. In gioco non è solo il primato della produzione ma anche quello geopolitico dell’area. Certo è che quella che viene definita la “maledizione delle risorse” purtroppo esiste davvero. Storicamente i paesi che hanno avuto grandi risorse di prima necessità hanno visto dapprima il dilagare della corruzione del proprio sistema politico e poi – una volta calati i prezzi di quelle risorse – un’esponenziale aumento della conflittualità interna volto alla perpetuazione di quei privilegi divenuti ormai insostenibili. Ecco allora la necessità di un colpevole esterno, che sia nel caso del Venezuela sia nel caso Russo è identificato negli Stati Uniti. Ma la realtà è diversa, ed è che progressivamente la produzione di energia si sta svincolando sempre più dal petrolio.

È anche per questo che è difficile ipotizzare un prossimo deciso freno alla caduta dei prezzi, che pure rappresenta oggi una sorta di benedizione finanziaria per una stabilizzazione delle moderne economie occidentali sempre più in sofferenza, in particolare quelle della zona euro, che riescono a bilanciare con una riduzione dei costi di produzione il decremento delle esportazioni. Tuttavia possiamo stare certi che dietro la guerra dei prezzi ci sono in gioco fattori cruciali per l’assetto del mondo prossimo venturo.

Mappa dei paesi produttori di petrolio nel 2015

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