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Alcuni sono più uguali di altri

Aumenta l’aliquota dell’imposta di bollo. È una delle novità introdotte dal disegno di legge di stabilità in discussione in queste ore in Parlamento e introduce l’aumento dell’imposta di bollo sulle comunicazioni relative ai prodotti finanziari dal 1,5 al 2 per mille. Il provvedimento fa cassa sui risparmiatori mentre lascia intatto l’impianto confuso, distorsivo e regressivo della materia.

di Luigi Ripamonti - 22 Ottobre 2013 - 6'

Aumenta l’aliquota dell’imposta di bollo. È una delle novità introdotte dal disegno di legge di stabilità in discussione in queste ore in Parlamento e introduce l’aumento dell’imposta di bollo sulle comunicazioni relative ai prodotti finanziari dal 1,5 al 2 per mille. Il provvedimento fa cassa sui risparmiatori mentre lascia intatto l’impianto confuso, distorsivo e regressivo della materia.

Districarsi tra le diverse tipologie di strumenti finanziari per capire in che maniera questi sono soggetti o meno all’imposta è tutt’altro che scontato. Facendo riferimento ad alcune circolari dell’Agenzia delle Entrate abbiamo identificato tre categorie per omogeneità di trattamento con riferimento all’imposta di bollo per le persone fisiche per l’anno 2014:

Esenti : i fondi pensione e le polizze assicurative di ramo I (rivalutabili) sono esenti da imposta di bollo.

Imposta lieve: rientrano in questo gruppo i conti correnti e i libretti bancari e postali. Questi strumenti sono soggetti ad esenzione dell’imposta fino a 5.000 euro di giacenza annua media e ad una spesa fissa di 34,2 euro qualora l’importo eccedesse questa cifra.

Imposta mista: una trattazione ‘mista’ è prevista per i Buoni Fruttiferi Postali (emessi dopo il 1/1/09) che sono esenti da imposta per importi inferiori a 5.000 euro. Per importi superiori i BFP sono soggetti all’imposta proporzionale del 2 per mille con minimo fissato a 34,2 euro.

Imposta piena: rientrano in questo gruppo gli strumenti finanziari, i conti deposito, le polizze assicurative di ramo III (finanziarie o unit o index-linked) e di ramo V (di capitalizzazione). Questi strumenti sono soggetti all’imposta ‘piena’ equivalente al 2 per mille con minimo di 34,2 euro senza alcuna esenzione.

Il trattamento differenziale imposto dal legislatore ha un forte impatto sulla dinamica del mercato del risparmio e sulle scelte dei risparmiatori. Il grafico sottostante simula il corrispettivo dovuto come imposta di bollo nelle tre diverse categorie identificate sopra per una persona fisica nell’ipotesi più semplice in cui il capitale investito è mantenuto invariato per tutta la durata dell’anno solare.

Per depositi inferiori a 5.000 euro i conti correnti bancari e postali e i Buoni Fruttiferi Postali non sono soggetti a imposta di bollo mentre gli altri strumenti finanziari pagano un’imposta di 34,2 euro. Il trattamento tra i diversi strumenti è equiparato per importi compresi tra i 5.000 e i 17.200 euro, dove l’imposta è la medesima, 34,2 euro. Oltre i 17.200 euro si differenzia nuovamente il trattamento che vede un’imposta costante per i conti correnti e un incremento proporzionale senza tetto massimo per gli strumenti finanziari e i buoni fruttiferi.

Sono evidenti gli effetti distorsivi di questo impianto che privilegia in maniera eclatante la raccolta del settore bancario e delle Poste. Il risparmiatore vede così lesa la propria libertà di scelta nell’allocazione del risparmio verso il prodotto più adatto alle proprie esigenze, mentre gli operatori di mercato subiscono una turbativa della concorrenza nel settore.

Sotto il profilo dell’equità la norma continua a presentare evidenti vizi perché su un importo di 100 euro un investitore in strumenti finanziari (siano questi fondi comuni, conti deposito, ecc.) dovrà pagare una somma pari al 34,2% del capitale investito. Questa quota andrà a ridursi con l’aumentare della quota investita fino a stabilizzarsi al 2 per mille solo in corrispondenza di un capitale investito di 17.200 euro. Scegliendo di lasciare invece il capitale sul conto corrente la tassa applicata sarà pari al 67 per mille per un importo medio annuo di 5.100 euro e la quota si riduce progressivamente (o meglio regressivamente) all’aumentare dell’investito.

Il carattere frammentario della norma dà inoltre adito a situazioni prive di una chiara ratio fiscale. Si consideri ad esempio l’acquisto da parte di un investitore di due polizze unit-linked emesse da compagnie assicurative diverse: per un importo investito di 10.000 euro in ogni polizza il risparmiatore pagherà un imposta di bollo complessiva di 68,4 euro. Se invece lo stesso capitale fosse stato investito sulla stessa polizza, o su strumenti emessi dalla stessa compagnia, l’imposta di bollo sarebbe stata di 40 euro, con un risparmio fiscale di oltre il 40%. È evidente dunque che lo stato attuale della norma si presta a diverse possibilità di arbitraggio fiscale.

Un recente articolo comparso sul Sole 24 Ore sottolinea la necessità di eliminare l’importo minimo dei 34,2 euro e di estendere a tutti i risparmiatori l’imposta proporzionale. Questo avrebbe sicuramente un effetto positivo in quanto correggerebbe il carattere fortemente regressivo, e dunque incostituzionale, della norma. Riteniamo tuttavia che sia necessaria una totale revisione della materia che sicuramente elimini la soglia minima di imposta, che fa scempio della Costituzione e beffa il piccolo risparmiatore, ma anche conduca ad un’equiparazione della normativa sui diversi strumenti di risparmio perché l’attuale distorsione, volta a far convergere i risparmi degli italiani nelle casse delle banche e delle Poste, mina la concorrenza sul mercato, la libertà di scelta del risparmiatore.

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