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BPM-Banco Popolare: un matrimonio difficile senza la benedizione della BCE

Gli alti e bassi in Borsa delle azioni delle due banche popolari, Banco Popolare e Banca Popolare di Milano, rendono l’idea di quanto sia complessa e delicata questa fusione. Si tratta di un passo importante (il primo dei tanti che devono essere fatti in Italia) che ha come obiettivo quello di creare un sistema bancario più forte ed efficiente.

di Elisabetta Villa - 21 Marzo 2016 - 4'

Gli alti e bassi in Borsa delle azioni delle due banche popolari, Banco Popolare e Banca Popolare di Milano, rendono l’idea di quanto sia complessa e delicata questa fusione. Si tratta di un passo importante (il primo dei tanti che devono essere fatti in Italia) che ha come obiettivo quello di creare un sistema bancario più forte ed efficiente.

Ad innescare il forte ribasso delle azioni BPM e Banco Popolare della scorsa settimana è stata la notizia di una lettere inviata dalla BCE ai due istituti in cui vengono indicati i requisiti per dare il via libera alla loro fusione, di cui si parla già da mesi e che sarebbe la prima fusione post riforma delle banche popolari tra due banche italiane.

I nodi da sciogliere sono fondamentalmente due: governance e crediti deteriorati. Per quanto riguarda il primo, Francoforte ha chiesto maggiore efficienza e snellezza (l’eliminazione del comitato esecutivo o comunque un suo drastico ridimensionamento nei poteri). Alla Viglianza Bancaria europea non piace la proposta dei due istituti italiani di creare, dopo la fusione, una banca, Bpm spa, autonoma per tre anni, che pure è considerata dai sindacati interni di Bpm una condizione necessaria per dare il loro assenso alla fusione in assemblea.

Per quanto riguarda il nodo crediti deteriorati, o “non performing loans”, (14 miliardi netti il Banco e 3,6 miliardi Bpm), che nel progetto di fusione avrebbe dovuto essere gestito con uno smaltimento di 7-8 miliardi di non performing loans in due anni, apprendiamo che nella lettera della BCE è scritto nero su bianco che la nuova realtà nata dalla fusione dovrà essere forte in termini di capitale.

Pare dunque inevitabile a questo punto quell’aumento di capitale che non più tardi di qualche giorno fa l’amministratore delegato del Banco Popolare, Francesco Saviotti aveva espressamente escluso per rassicurare gli azionisti circa l’evitabilità di un loro prossimo impegno di rifinanziamento: «Non ci sarà mai un aumento di capitale per questa operazione», aveva affermato perentorio.

Ma al di là degli sviluppi che avrà questa specifica operazione il tema generale da porsi è quale sarà il futuro delle banche italiane se un’operazione come questa, tra due degli istituti più solidi, dovesse subire una battuta d’arresto a livello europeo.

Si tratta di un’operazione molto importante che darebbe il via all’attivazione di sinergie di costo indispensabili per il rinnovarsi di un sistema che non è più da tempo competitivo e che ha l’assoluta necessità di ristrutturarsi.

Un solo dato: in Italia il numero di filiali è superiore di oltre il 50% a quello della media europea e quello della media europea è superiore del 50% a quello della media americana. Non c’è dunque altra strada che quella di aumentare le dimensioni e ridurre i costi e la fusione di Banca Popolare di Milano e Banco Popolare va indubitabilmente in questa direzione.

Il monito che arriva dalla Vigilanza europea è in linea con i requisiti che si rendono necessari per un gruppo bancario che è destinato a diventare il terzo player italiano ed è il presupposto per evitare che venga creato un gigante dai piedi d’argilla. Le prossime settimane saranno chiave per capire se le misure – quali la riforma delle popolari del governo Renzi – prese a livello nazionale per aumentare la redditività bancaria saranno attuabili secondo le indicazioni della BCE e negli interessi dei risparmiatori.

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