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C’è davvero intesa tra la classe media e il risparmio gestito?

Per cosa risparmia la classe media italiana? Come investe i risparmi? Ecco la fotografia offerta da una recente indagine, che getta ombra su alcune certezze che pensavamo di avere in questi mesi sul settore del risparmio gestito.

di Anna Schwarz - 24 Luglio 2015 - 4'

Per cosa risparmia la classe media italiana? Come investe i risparmi? Ecco la fotografia offerta da una recente indagine, che getta ombra su alcune certezze che pensavamo di avere in questi mesi sul settore del risparmio gestito.

L’Indagine sul Risparmio condotta da Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo propone quest’anno uno spaccato interessante della situazione economica e delle scelte di risparmio e investimento della classe media italiana, ossia di quei cittadini che hanno un reddito vicino a quello mediano (in un intorno compreso tra il 75 e il 125% del reddito mediano della categoria di età di appartenenza).

La ricerca stima che la classe media italiana risparmi nel suo insieme 25 miliardi di euro all’anno. Il primo obiettivo con cui la classe media accumula risparmi è quello di lasciare dei capitali ai figli. Questa priorità è sentita in maniera trasversale da tutte le fasce d’età considerate ma si concentra in particolar modo tra gli under 35, con il 60% delle preferenze. Crolla invece rispetto al 2007, la vigilia della crisi, il risparmio con l’intento di acquistare una casa, soprattutto tra i più giovani.

Quando si tratta di investire poi i risparmi accumulati la classe media si orienta prevalentemente verso prodotti che privilegiano i caratteri di sicurezza e liquidità, ricercati da circa il 70% del campione, piuttosto che il rendimento, rilevante per meno del 30%. Tale impostazione si riflette dunque nella scelta dei prodotti di investimento. La ricerca della sicurezza ad ogni costo e la preferenza per avere i risparmi sotto mano, indirizzano infatti la gran parte del flusso di risparmio verso i conti correnti e i conti deposito, rinviando qualsiasi decisione di investimento. Nel 2015 circa un quarto degli italiani detiene oltre il 50% della propria ricchezza finanziaria in forma liquida sul conto corrente. Solo il 5% della classe media investe direttamente in titoli azionari e solo il 9% in fondi comuni.

Come si concilia questo dato con il boom di raccolta sui fondi comuni di cui leggiamo sui giornali da circa due anni? Ecco alcune ipotesi plausibili:

  • Malgrado la crescita delle masse del risparmio gestito siamo ancora ben lontani dai livelli di partecipazione pre-crisi.
  • La crescita delle masse si sta concentrando soprattutto su quei clienti già possessori di fondi comuni, senza allargare quindi la base dei clienti ma semplicemente aumentando la quota di ricchezza investita in fondi comuni di chi già era cliente.
  • La recente raccolta deriva soprattutto dalle fasce più abbienti della società, che sono considerate più remunerative per i distributori e le società di gestione, a parità di tempo e sforzi da dedicare al singolo cliente.

Sul fronte della domanda poi è evidente che la crisi ha ridotto la, già limitata, propensione al rischio del ceto medio, che spesso ritiene inoltre l’investimento in fondi comuni riservato ai più ricchi. Ben il 60% dei risparmiatori che non investono in fondi comuni dichiara di ritenere di non avere capitali sufficienti.

Con i dati a disposizione è difficile capire quale sia stata la causa di questa situazione. Il risultato però è evidente. Malgrado l’enfasi mediatica sulla forte raccolta sui fondi comuni di questi mesi non si può certo parlare di un ritorno di fiamma tra il risparmio gestito e la classe media, pur restando il fondo comune lo strumento che più si adatterebbe anche alle esigenze del risparmiatore medio, per diversificazione, gestione di un professionista e accessibilità a partire da importi minimi.

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