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I risultati degli stress test e le contromisure del governo italiano

Gli stress test sono un programma di valutazione del capitale detenuto in riserva dalle banche per fronteggiare periodi di criticità economica. Ma qual è il loro grado di affidabilità?

di Flavio Talarico - 22 Luglio 2016 - 4'

Gli stress test delle banche sono un argomento sempre più all’ordine del giorno, da cui a volte parrebbe dipendere l’intero futuro finanziario del Vecchio Continente. Ma siamo sicuri di sapere esattamente che cosa sono, come vengono condotti e qual è il loro grado di affidabilità?

Per esempio oggi il presidente dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana) Antonio Patuelli ha affermato che «gli stress test europei sulle banche sono astrusi nel merito e nel metodo», e questo a pochi giorni di distanza da quel temuto 29 luglio in cui verranno resi noti i risultati circa l’esame dello stato di salute di 53 istituti aventi sede nella UE, di cui 29 appartenenti all’Eurozona, insieme pari al 70% del sistema bancario europeo. Nel novero compaiono cinque istituti italiani: Unicredit, Intesa San Paolo, Mps, Ubi banca e Banco popolare. Iniziamo anzitutto con una definizione: gli stress test sono un programma di valutazione del capitale detenuto in riserva dalle banche al fine di fronteggiare le situazioni economiche più critiche, quali per esempio una recessione, un crollo delle borse o altre eventualità avverse.

L’importanza degli stress test condotti dall’Eba (European banking authority) – un organismo della Banca Centrale Europea – per la valutazione del rischio del credito è sancita dall’importante accordo noto come Basilea II, entrato in vigore nel gennaio dl 2007. In pratica si cerca di valutare quanto denaro proprio (vale a dire non “prestato”) possiede una banca, ossia di quanto capitale disponga per affrontare le eventuali perdite improvvise che si dovrebbero affrontare in caso di shock economico. La soglia di capitale minimo da raggiungere per poter passare gli stress test è indicata da una percentuale che viene calcolata considerando tutte le attività della banca pesate per il rischio, il che significa che attività più rischiose avranno nel computo un peso maggiore rispetto ad investimenti più sicuri. Tuttavia nella valutazione di fine luglio non verrà chiesta alle banche una precisa percentuale di capitale minimo e questo per due ragioni: la prima è per evitare l’automatismo di bocciature troppo scomode per l’intero sistema bancario continentale e la seconda è che potrà così venire richiesta una ricapitalizzazione anche a banche apparentemente robuste. La simulazione condotta nel corso degli stress test simula due scenari, di cui uno avverso. Nel caso dell’Italia questa avversità consisterebbe in un calo triennale cumulato del Pil del 5,9% e di un calo consecutivo di borsa per quest’anno e per il prossimo rispettivamente del 29 e del 25%. Tra i rischi simulati compaiono quello del credito e del debito sovrano.

I critici di questo sistema di valutazione, tra cui Patuelli ma già prima di lui Ignazio Visco, sostengono che le ipotesi messe in campo sono troppo pessimistiche e non tengono conto delle probabili contromisure che ciascuna nazione potrebbe mettere in campo. «Si estremizzano delle ipotesi che non sussistono e si creano dei disagi conseguenti perché lo stress diventa la regola e si accantonano le regole normali» – Dice Patuelli. Ma al di là del dibattito sulla validità degli stress test, resta il fatto che sono in vigore e che il governo italiano teme molto per Monte Paschi. Tuttavia sono già in atto trattative tra l’Italia e le istituzioni europee per una ricapitalizzazione diretta dell’istituto, volte a non far gravare sugli investitori privati le perdite derivanti dall’applicazione del bail-in.

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