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Il debito non va in ferie

A fine maggio il debito pubblico italiano ha raggiunto un nuovo record. Dov ‘è la novità? Forse non c’è, dato che uno dei principali giornali italiani, ha ritenuto opportuno dedicare alla notizia non più di un trafiletto in taglio basso in quarta. Eppure il fatto che, secondo i dati pubblicati ieri da Banca d’Italia, il disavanzo ha raggiunto il nuovo record storico a 2.166 miliardi di euro, 20 miliardi in più rispetto al mese precedente, è una notizia che non deve passare inosservata.

di Flavio Talarico - 15 Luglio 2014 - 6'

A fine maggio il debito pubblico italiano ha raggiunto un nuovo record. Dov ‘è la novità? Forse non c’è, dato che uno dei principali giornali italiani, ha ritenuto opportuno dedicare alla notizia non più di un trafiletto in taglio basso in quarta. Eppure il fatto che, secondo i dati pubblicati ieri da Banca d’Italia, il disavanzo ha raggiunto il nuovo record storico a 2.166 miliardi di euro, 20 miliardi in più rispetto al mese precedente, è una notizia che non deve passare inosservata.

Proprio per questo motivo e per non scadere nella facile demagogia con cui troppo spesso l’argomento viene trattato, ecco alcuni punti che andrebbero tenuti a mente per parlare di debito e, di conseguenza, avanzare auspicabilmente proposte ragionevoli.

Composizione. In primo luogo, per cercare di intervenire sul problema del debito bisogna considerarne la composizione. Al 30 aprile 2014, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, oltre il 65% del nostro disavanzo è a tasso fisso e quindi meno sensibile rispetto a variazioni del mercato. Oltre il 97% è denominato in euro, e quindi verrebbe meno quel pericolo di possibile svalutazione che farebbe aumentare gli oneri del debito in caso di ristrutturazione. La scadenza media del nostro debito è intorno ai 6 anni e mezzo, quindi, tutto sommato, non siamo troppo schiacciati sul breve termine e ciò ci aiuterebbe a superare eventuali problemi di liquidità.

Chi detiene il debito pubblico? A fine 2013, secondo il MEF, il 28% del nostro debito pubblico è in mano alle banche, un altro 8% è detenuto da altri intermediari finanziari, il 10% dalle famiglie, il 16% da assicurazioni e fondi pensione, mentre il 36% da investitori esteri. La dinamica relativa alla detenzione del nostro debito è variata nel corso degli anni e muta continuamente a seconda degli umori di mercato. Infatti, se con la crisi dell’euro abbiamo osservato come le banche abbiano rimpiazzato gli investitori esteri tra i principali creditori dello Stato, l’attuale contesto di mercato sta favorendo una nuova inversione di tendenza, con il ritorno dell’appetito per i Btp tra gli investitori esteri, come dimostrato dagli ultimi dati di Bankitalia. Di certo, però, il nostro debito non è più nelle mani della casalinga di Voghera.

Quanto è importante il debito per le banche? Secondo i dati del think thank Bruegel il 10% del totale degli asset delle banche italiane è rappresentato da titoli di debito pubblico, mentre un altro 7,8% è composto da titoli bancari che quindi indirettamente incorporano altro debito detenuto dagli istituti di credito. Nel complesso, grazie ai calcoli del professor Paolo Manasse dell’Università di Bologna, scopriamo che l’esposizione complessiva del sistema bancario al debito pubblico è pari all’11,4%.

Aspetti legali. Un tema quasi mai toccato in relazione al problema della sostenibilità del debito e alle sue possibili soluzioni, è sotto quale giurisdizione cade il nostro disavanzo. Allo stato attuale, oltre il 97% del nostro debito è governato dalla legge italiana. Ciò significa che se l’Esecutivo cambia la legge, cambiano di conseguenza i termini del contratto. Si può fare? Si. Il Decreto Presidenziale 30 dicembre 2003 n.398 ci dice che “..il Ministro dell’Economia e delle Finanze è autorizzato, in ogni anno finanziario, ad emanare decreti cornice che consentano al Tesoro di procedere, ai fini della ristrutturazione del debito pubblico interno ed estero, al rimborso anticipato dei titoli, a trasformazioni di scadenze, ad operazioni di scambio nonché a sostituzione tra diverse tipologie di titoli o altri strumenti previsti dalla prassi dei mercati finanziari internazionali”.

È sostenibile? Definire la sostenibilità del debito pubblico non è cosa facile. In maniera semplicistica si potrebbe sommariamente dire che un debito è sostenibile quando questo smette di crescere. Ma se il nostro debito pubblico continua ad aggiornare record su record, come possiamo fare a stabilizzarlo? Tenendo presente le ragionevoli previsioni di crescita fornite dal FMI sulle principali variabili che incidono sulla dinamica del rapporto debito/Pil: tasso di crescita, tassi di interesse e inflazione, l’avanzo primario, ovvero l’eccesso di entrate sulle spese al netto degli interessi, necessario a stabilizzare il rapporto debito/Pil dovrebbe essere intorno al 2-2,5% nei prossimi 5 anni. Uno sforzo considerevole, ma possibile. Anche in considerazione dell’esperienza passata. Infatti l’Italia già c’è riuscita nel decennio 1990-1999, sarà per la volontà di entrare nell’euro, sarà per una maggiore crescita a sostegno.

E il Fiscal Compact? Il problema a cui bisogna trovare una soluzione, non è solo se e come rendere sostenibile il nostro debito pubblico, ma come ridurlo ogni anno di quel ventesimo della parte eccedente il 60% del Pil necessario per rispettare i parametri di Maastricht. Questa, è bene ricordare non è un’opzione, ma attualmente un obbligo ratificato con Il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria, il cosiddetto Fiscal Compact, e tradotto nel nostro ordinamento come legge costituzionale. Come fare dunque? Ritornando ai calcoli offerti dal prof. Manasse, per ridurre il rapporto debito/Pil in adempimento del Fiscal Compact, ovvero farlo scendere entro il 2019 dall’attuale 135% al 121% sarebbe necessario un avanzo primario costante annuo di circa il 5,6%. Uno sforzo fiscale che ragionevolmente è fuori dalla portata del nostro Paese.

E allora che fare? Di proposte ce ne sono su tavolo ma, tranne che in qualche coraggiosa iniziativa, difficilmente se ne parla, tanto che ormai il debito pubblico non merita altro che un trafiletto in fondo a una pagina secondaria.

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