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La disoccupazione di lungo periodo nell’area euro non accenna a scendere

Tra i lasciti della crisi in Europa, e in particolare in Italia e nel Sud d’Europa, c’è l’aumento della disoccupazione. Un articolo dell’Economist, il settimanale britannico di politica ed economia, suggerisce che, in questo contesto, il problema principale per l’Europa è rappresentato dalla disoccupazione di lungo periodo che può lasciare un grave solco sociale.

di Una finestra sul mondo - 4 Agosto 2015 - 4'

Tra i lasciti della crisi in Europa, e in particolare in Italia e nel Sud d’Europa, c’è l’aumento della disoccupazione. Un articolo dell’Economist, il settimanale britannico di politica ed economia, suggerisce che, in questo contesto, il problema principale per l’Europa è rappresentato dalla disoccupazione di lungo periodo che può lasciare un grave solco sociale.

Gli ultimi dati sulla disoccupazione dell’area euro, rilasciati il 31 luglio, portano un moderato sollievo. Mostrano che il tasso di disoccupazione complessivo si è ridotto all’11,1%, dal picco del 12,1% dell’aprile 2013. Malgrado le buone notizie, c’è però un problema che è emerso in diciannove stati membri dell’unione: la disoccupazione di lungo periodo (definita come l’essere disoccupati per oltre un anno). Dei 19 milioni di europei senza lavoro, più della metà è stata disoccupata nell’ultimo anno, e oltre il 15% non ha lavorato negli ultimi quattro anni. Non sorprende che il problema sia più acuto nel Sud d’Europa dove la prolungata crisi ha innalzato il livello di disoccupazione totale, insieme a quella di lungo periodo. Per contro, negli Stati Uniti, il numero di persone che cercano un lavoro da oltre un anno è crollato quando l’economia ha mostrato segni di ripresa; la disoccupazione di lungo periodo si attesta ora a poco più del 20% della disoccupazione totale. Perché invece è così difficile per gli europei tornare a lavorare?

Parte della risposta è rappresentata dalla mobilità del lavoro. Circa il 30% degli americani risiede in uno stato diverso da quello in cui è nato. Solo il 2,8% degli europei invece si è spostato in un diverso paese dell’Unione Europea. Barriere linguistiche, differenza culturali e titoli professionali nazionali non riconosciuti all’estero, rendono molto più difficile partire per trovare un altro lavoro. I generosi sussidi di disoccupazione in Europa legano poi i lavoratori potenziali ad un paese e rendono meno urgente la ricerca di un nuovo impiego. Nella maggior parte degli stati americani i lavoratori disoccupati hanno diritto ai sussidi di disoccupazione per 26 settimane (anche se questo limite è stato alzato tra il 2008 e il 2013). Parecchi stati dell’area euro sostengono i lavoratori disoccupati per oltre un anno.

Un altro fattore rilevante per il diverso andamento della disoccupazione di lungo periodo è il più alto ricambio del lavoro in America piuttosto che in Europa. I dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, un’agenzia delle Nazioni Unite, dicono che tra il 2008 e il 2012 la probabilità di trovare un lavoro entro il mese successivo era pari al 7% per gli europei e al 12% per gli americani. Dall’altro lato, la probabilità di perdere il lavoro nel mese successivo era rispettivamente dello 0,8% e dell’1%. Il maggior ricambio comporta che il lavoro disponibile sia distribuito tra la popolazione e le competenze rimangano affinate e gli animi più sereni. Per la zona euro non ci sono però solo cattive notizie. Una delle cause della differenza nel tasso di disoccupazione è in realtà legato ad un aspetto salutare del mercato del lavoro europeo. La disoccupazione si riduce in America in parte perché i lavoratori scoraggiati stanno uscendo dalla forza lavoro. In Europa è vero il contrario: la forza lavoro è cresciuta, contribuendo ad aumentare i tassi di disoccupazione.

Questa situazione però è un cattivo presagio per il futuro della moneta unica. La disoccupazione di lungo periodo può alimentare un ciclo vizioso: più a lungo qualcuno rimane senza occupazione più difficile sarà rientrare sul mercato del lavoro. Ci sono poi altre conseguenze. I tassi di natalità, già in calo in Europa, tendono a ridursi e l’aspettativa di vita può diminuire quando i livelli di disoccupazione sono elevati. Questo problema non è però generalizzato. La Danimarca e la Germania sono riuscite a contenere la disoccupazione di breve e di lungo periodo attraverso programmi di formazione lavorativa, flessibilità del lavoro ed educazione. I paesi del Sud Europa, dove il problema è più acuto, potrebbero guardare a nord in cerca di ispirazione.

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