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La Letta destra non sa quel che fa la Letta sinistra

“È vero: la disuguaglianza sgretola la società perché la fa marcire al proprio interno.” È quanto scrive il primo ministro Enrico Letta, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, sostenendo che questa “ha effetti devastanti sulla convivenza civile, minando alla base sia la democrazia sia il mercato”. Ma quanto ritroviamo delle parole del premier nell’azione del governo?

di Elisabetta Villa - 29 Ottobre 2013 - 5'

“È vero: la disuguaglianza sgretola la società perché la fa marcire al proprio interno.” È quanto scrive il primo ministro Enrico Letta, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, sostenendo che questa “ha effetti devastanti sulla convivenza civile, minando alla base sia la democrazia sia il mercato”. Ma quanto ritroviamo delle parole del premier nell’azione del governo?

Enrico Letta sottolinea l’urgenza per la politica di “sporcarsi le mani” e auspica un intervento del governo che poggi su stabilità e comunità; la prima come condizione per l’instaurazione fertile delle riforme necessarie, e la seconda “come risposta a una società frantumata e divisa tra pochi privilegiati e una sottoclasse fatta di persone lasciate sole e di “rassegnati” di tutte le età”. Secondo il nostro premier il tema della disuguaglianza è sicuramente di primaria importanza.

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, recita la carta costituzionale (Art. 3) che identifica anche lo strumento attraverso cui lo stato persegue il principio di uguaglianza: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” (Art. 53).

Alla luce di quanto scritto dal primo ministro ci si potrebbe attendere di ritrovare nella recente azione di governo almeno un accenno di progressività tributaria; eppure non è così.

Nel 2012 solo 166 miliardi su un totale di 424 miliardi di euro di entrate tributarie totali (cioè il 39%) è provenuto dall’imposta progressiva per antonomasia, l’IRPEF; il resto degli introiti è ottenuto da imposte proporzionali o addirittura regressive. I redditi finanziari, ad esempio, sono soggetti ad una tassazione proporzionale secondo un’aliquota fissa del 20% (ridotta al 12,5% per gli interessi sui titoli di stato) e i proventi da affitti sono tassati al 21%.

La cancellazione dell’IMU sulla prima casa ha finito per favorire le fasce più abbienti della popolazione, come approfondito in L’IMU oscura il pubblico dibattito. Anche l’aumento dell’IVA, iniquo perché colpisce indiscriminatamente tutti i consumatori, è caratterizzato da regressività, pesando maggiormente sui redditi più bassi, dove il consumo rappresenta una frazione maggiore del reddito disponibile. Da ultimo, l’imposta di bollo sui prodotti finanziari, mantenuta (anzi aumentata) nel disegno di legge di stabilità 2013, si presenta come un’imposta fortemente regressiva perché l’importo minimo di 34,2 euro fa sì che si paghi l’aliquota fissa del 2 per mille solo investendo capitali maggiori di 17.100 euro. Fino al raggiungimento di tale cifra l’aliquota sarà invece superiore e diminuirà all’aumentare del capitale, con un meccanismo perverso per cui investendo cifre modeste ci si potrebbe trovare a pagare un’aliquota pari al 100% del capitale. Vi è poi un effetto distorsivo dell’imposta di bollo dato dalla trattazione di favore di conti correnti bancari e conti correnti e buoni fruttiferi postali, verso cui sono dirottati i risparmi.

La soglia minima dei 34,2 euro va nella direzione di aggravare la distanza tra i pochi privilegiati, che godono di una tassazione lineare (il 2 per mille), e i molti componenti di una sottoclasse con scarse disponibilità economiche e/o bassi livelli di risparmio lasciati in mano a banche, Poste e slot-machine. Il governo Letta ha avuto l’occasione di eliminare la soglia minima, contestualmente alla decisione di aumentare l’aliquota dal 1,5 al 2 per mille. Tale misura avrebbe portato importanti benefici in termini di equità, ma si è scelto di non farlo.

L’impianto tributario nel suo complesso risulta quindi solo marginalmente progressivo, e di certo i provvedimenti adottati dal governo non si sono ispirati a questa esigenza. Il permanere e l’aggravarsi di politiche tributarie regressive contribuisce ad accentuare la polarizzazione sociale ed economica che alimenta quella mancanza di fiducia nel sistema e in se stessi a cui fa riferimento il premier. Sembrerebbe proprio che la Letta sinistra, che scrive un accalorato articolo sul Corriere della Sera, non sappia cosa faccia la Letta destra, che approva manovre di carattere regressivo, o nella migliore delle ipotesi proporzionale, di certo non ispirate a quel principio di uguaglianza a cui fanno riferimento la Costituzione e l’articolo dello stesso primo ministro.

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