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Lo scandalo della Banca romana: ieri come oggi

Una crisi edilizia che innesca una crisi bancaria. Una crisi bancaria che mina alla radice la fiducia dei risparmiatori, che temono di non riavere più i propri denari. Perché i crediti inesigibili, ossia che non possono più essere recuperati, in pancia alle banche sono ingenti. Le banche vanno in affanno, si teme una corsa agli sportelli e lo Stato autorizza a stampare carta moneta indipendentemente dalle riserve auree, qualcosa di perfettamente simile a un Quantitative Easing ante litteram.

di Elisabetta Villa - 1 Aprile 2016 - 7'

Una crisi edilizia che innesca una crisi bancaria. Una crisi bancaria che mina alla radice la fiducia dei risparmiatori, che temono di non riavere più i propri denari. Perché i crediti inesigibili, ossia che non possono più essere recuperati, in pancia alle banche sono ingenti. Le banche vanno in affanno, si teme una corsa agli sportelli e lo Stato autorizza a stampare carta moneta indipendentemente dalle riserve auree

Qualcosa di perfettamente simile a un Quantitative Easing ante litteram. Un Quantitative Easing di 130 anni fa.

Quantitative Easing, in italiano potremmo tradurre l’espressione come “alleggerimento quantitativo”: si tratta di una modalità con cui le banche centrali creano moneta e poi la passano al sistema bancario, acquistando e vendendo titoli di Stato oppure attività finanziarie delle banche del sistema, azioni e titoli anche tossici al fine di migliorare le condizioni di bilancio di queste ultime.

Va però detto che immettere liquidità nel sistema finanziario non equivale di per sé ad immetterla nel sistema economico, perché le banche potrebbero decidere –avviene spesso –di non impiegare tale liquidità e di lasciarla in deposito presso la Banca Centrale, preferendo percepire tassi ben poco remunerativi all’idea di correre un qualunque tipo di rischio.

Uno scenario di 130 anni fa che si ripropone dunque oggi con ancora più drammatica vivezza, e che se all’epoca trovò soluzione in un’aumentata vigilanza e nella costituzione di una Banca nazionale centrale come sola emittente, la Banca d’Italia, che oggi stenta a trovare una altrettanto chiara via di uscita per due ragioni: i crediti inesigibili sono troppo alti e la vigilanza sulle banche esercitata a livello europeo non pare in grado di rilevare le inefficienze e gli abusi per tempo.

Ma veniamo alla storia dello scandalo della Banca Romana. Il neonato Regno d’Italia, poteva vantare ben cinque banche che potevano emettere moneta circolante: la Banca Nazionale, la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di Credito per le Industrie e il Commercio d’Italia, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia.

A queste se ne aggiunse una, la Banca dell’ex Stato Pontificio, che dopo la presa di Roma tornò alla sua ragione sociale originaria di Banca Romana di Credito.

Definirla una situazione confusa è forse poco. La confusione in Italia ha sempre fatto buon gioco, e specialmente in materia finanziaria, in materia di sistema bancario. In sonstanza non è poi una confusione tanto diversa da quella che ha consentito gli scandali di Monte Paschi, Antonveneta, Banco Ambrosiano, e delle banche coinvolte nella crisi di fine 2015 e nel Bail-in.

Ma torniamo alle banche emittenti di cui post unità Cavour tentò un riordino, ovviamente scontrandosi con i mille ostruzionismi di lobbysti e politici delle varie regioni italiane. Non riuscì a far passare l’idea di accentrare le emissioni in un’unica Banca Nazionale del Regno d’Italia, e tuttavia ottenne l’approvazione di una legge organica sul sistema bancario che prevedesse la vigilanza sul credito.

A favore dell’unicità della banca emittente si schierarono la destra storica(fedele a Cavour) e parte della grande industria, mentre la destra più liberista, la sinistra e gli ambienti legati alle Banche meridionali erano per il pluralismo; così come per il pluralismo erano le lobbies che, mosse da interessi localistici mobilitavano giornalisti, burocrati e faccendieri affinché si mantenesse lo status quo” ad iniziare da Crispi, l’allora Presidente del Consiglio.

E proprio Crispi, tramite il ministro Miceli, incaricò di un’ispezione al Banco di Napoli il Presidente della Corte dei Conti Alvisi, ispezione che ben presto si estese anche alle altre banche di emissione.

La situazione della Banca Romana apparve da subito gravemente ingiustificabile: un eccesso di banconote circolanti di 25.000.0000 di lire, altre banconote false per più di 9 milioni ed una grande esposizione in finanziamenti “allegramente” concessi al settore edilizio durante la grande speculazione del risanamento di Roma.

Il ministro, Miceli, letta la relazione tentò di far finta di nulla ma su insistenza del funzionario Biagini, fu costretto a convocare il governatore della Banca romana, Bernardo Tanlongo, che messo alle strette confessò la frode: l’eccesso di circolante era stato stampato per coprire l’ammanco dovuto alle scriteriate operazioni di investimento del settore edilizio, che ormai in crisi non era in grado di restituire la minima parte di quanto ricevuto a credito.

Qualcosa di davvero molto simile alla crisi dei subprime di fine 2006, non trovate? La crisi dei mutui subrime, cioè dei mutui ad elevatissimo rischio finanziario, contratti da persone che non avrebbero potuto accedere a tassi di interesse si mercato, iniziò nella seconda metà del 2006, allorché cominciò a sgonfiarsi la bolla immobiliare statunitense e contestualmente molti sottoscrittori di mutui subprime divennero insolventi a causa dell’aumento dei tassi si interesse. Gli istituti di credito si videro carichi di crediti inesigibili ed iniziarono i fallimenti. I titoli bancari e finanziari sono la tipologia di azione più scambiata in borsa ed un loro deprezzamento porta con se l’intero mercato, cosa che di fatto avvenne. Nell’aprile del 2009, il Fondo Monetario Internazionale stimò il totale delle perdite delle banche e delle istituzioni finanziarie a livello mondiale in 4.100 miliardi di dollari.

Egualmente, oltre un secolo prima, la Banca romana si espose per finanziare la bolla immobiliare e maturò crediti deteriorati da cui poi non seppe più come rientrare.

“Francesco Crispi, chiese di essere ragguagliato circa gli esiti di un’indagine speciale eseguita alla Banca Romana e il Ministro del Tesoro, Giovanni Giolitti rispose: “… tra le carte vi è roba da codice penale”

Il governatore della Banca Romana, Tanlongo, promise il pronto ripianamento degli ammanchi con un nuovo prestito. La situazione gravissima fu insabbiata per un po’ ma poi, lo scandalo esplose in Parlamento.

Era il 1° gennaio del 1893. Diciannove giorni più tardi il governatore della banca venne tratto in arresto, insieme al capo censore della banca senatore Leopoldo Torlonia ed al cassiere Lazzaroni.

In realtà poi le pressioni politiche furono tali che anche i diretti responsabili vennero scagionati.

Ora, al di là delle connivenze tra mondo politico e mondo finanziario (in Italia presenti da sempre in ogni scandalo finanziario, a differenza di quanto è avvenuto negli altri grandi Paesi europei), c’è da chiedersi come tali inefficienze continuino ad essere compatibili con un sistema di credito che è comunque essenziale allo sviluppo economico del Paese, e la risposta è una sola: la profonda arretratezza del sistema economico italiano.

La finanza, in una realtà industrialmente avanzata, deve essere massimamente efficiente, così efficiente da non consentire il perdurare di sacche di malaffare annose e inveterate.

L’Italia uscì bene dal pasticciaccio della Banca Romana e ciò consenti la crescita degli anni successivi, resa possibile anche dalla legge sul riordino degli istituti di emissione e dalla fondazione della Banca d’Italia.

Ci auguriamo, a questo punto, che la storia si ripeta … tutta.

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