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Nota ISTAT sull’economia italiana: la crescita è una chimera

Ridurre il debito pubblico senza crescita e senza inflazione è impossibile. Ma l’economia italiana ha interrotto la fase di crescita e anche l'inflazione negativa non sta aiutando.

di Flavio Talarico - 6 Settembre 2016 - 4'

Se qualcuno avesse pensato che in Italia la situazione economica non stesse andando poi così bene, non si sarebbe sbagliato e le sue supposizioni avrebbero avuto conferma questa settimana con la nota mensile sull’andamento dell’economia italiana diffusa dall’Istat, che si apre con questa introduzione: «A livello internazionale prosegue la fase espansiva dell’economia statunitense mentre i paesi dell’area euro mostrano segnali di rallentamento nel secondo trimestre. L’economia italiana ha interrotto la fase di crescita, condizionata dal lato della domanda dal contributo negativo della componente interna e dal lato dell’offerta dalla caduta produttiva del settore industriale. L’indicatore anticipatore dell’economia rimane negativo a luglio, suggerendo per i prossimi mesi un proseguimento della fase di debolezza dell’economia italiana».

Ridurre il debito pubblico senza crescita e senza inflazione è impossibile. Questo è il punto cruciale. Stiamo parlando di quanto ci richiede il Fiscal Compact, il trattato entrato in vigore nel 2013 che prevede che il debito pubblico di tutti i paesi di Eurolandia debba scendere al 60% del Pil entro i prossimi 20 anni. Essendo in Italia al 130%, cioè 70 punti sopra la soglia posta da Bruxelles, per rispettare il trattato dovremmo tagliare il rapporto debito/Pil di una media annua del 3,5%. Ad oggi ci siamo riusciti? Nemmeno per sogno. Né nel 2014, né nel 2015, né con ogni probabilità nel 2016. Quest’anno se saremo fortunati il debito lo ridurremo dello 0,2-0,4%. Perché la crescita diventa fondamentale? Perché il Fiscal compact non prende in considerazione un valore assoluto del debito bensì il suo rapporto con il Pil nominale, che annualmente sale in base a due fattori: l’inflazione e la crescita reale dell’economia. Se questi due fattori (al denominatore) non crescono il rapporto con il debito pubblico non può diminuire. Tutte le concessioni in tema di flessibilità ottenute da Bruxelles nel corso di questi mesi si basavano – a parte le varie emergenze – sulla ripresa della crescita. L’obiettivo minimo era quello di acciuffare almeno un 1% di crescita in più, un obiettivo che è invece sfumato.

Nel documento dell’Istat, più sotto, leggiamo: «Dopo la crescita registrata nei trimestri precedenti, nel secondo trimestre 2016 il prodotto interno lordo ha subito una battuta d’arresto, segnando una variazione nulla su base congiunturale. La variazione rispetto al secondo trimestre 2015 è stata pari allo 0,8%, in calo rispetto all’1% registrato nel primo trimestre. Alla variazione congiunturale del Pil ha contribuito positivamente la domanda estera netta (+0,2 punti percentuali): le importazioni sono aumentate dell’1,5% e le esportazioni dell’1,9%. L’apporto degli investimenti e dei consumi finali nazionali è stato nullo». È esattamente l’apporto all’economia degli investimenti e dei consumi interni a dare il polso della congiuntura economica: oggi in Italia i primi sono fermi e la seconda pare avere esaurito la sua pur scarsa spinta espansiva. La crescita minore del previsto potrebbe avere dirette ripercussioni sia sui conti di quest’anno che del prossimo, che avevano il dichiarato scopo di invertire la tendenza del rapporto tra debito e Pil, che nel corso del 2016 sarebbe dovuto passare dal 132,6% al 132,4%.

Anche l’inflazione negativa non sta aiutando per nulla la riduzione del debito, inflazione che secondo l’Istat non dovrebbe avere recuperi nel corso dell’anno. Questo perché i debiti sono contratti con un valore nominale il cui peso cresce o diminuisce a seconda della crescita dei prezzi. Più l’inflazione cresce, minore sarà l’onere a carico del debitore. La cosa del resto è abbastanza intuitiva. Se ho contratto un prestito di 2.000 euro ed i prezzi ed il mio stipendio aumentano (questo è il processo inflattivo) ecco che quei 2.000 euro varranno sempre di meno, come se il creditore avesse pagato una piccola tassa a nostro favore. Dunque ogni crisi finanziaria è in realtà aiutata e non ostacolata dall’inflazione perché riduce in termini reali quell’indebitamento che la crisi ha reso necessario.

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