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Pensioni: quanto è importante risparmiare?

pensioni tempo e risparmio

L’Italia è il paese che spende di più per le pensioni, con una quota pari al 16,5% del PIL nel 2015. Ma siamo sicuri che gli assegni pensionistici di domani riusciranno a garantire ai lavoratori di oggi lo stesso trattamento ricevuto dalle generazioni precedenti?

di Piero Cingari - 1 Settembre 2017 - 5'

Le pensioni pubbliche svolgono un ruolo cruciale nel garantire il sostentamento economico della popolazione anziana. Ma siamo così sicuri che gli assegni pensionistici di domani riusciranno ad offrire ai lavoratori di oggi lo stesso trattamento ricevuto dalle generazioni precedenti?

Per i Millennials di oggi (i nati dal 1984 in poi), le prospettive pensionistiche all’orizzonte si mostrano quanto mai incerte. Scopriamo perché.

Pensioni e invecchiamento della popolazione: l’Italia è ai vertici mondiali

Le pensioni costituiscono una delle voci di spesa più elevate per uno Stato. Come sottolineato recentemente dall’FMI, nelle economie avanzate, la spesa pubblica per le pensioni è aumentata da una media del 4% del PIL nel 1970 al 9% nel 2015. Tra i paesi Ocse, l’Italia è il paese che spende di più per le pensioni, con una quota pari al 16,5% del PIL nel 2015.

Dati alla mano, dal 1980 al 2015, la spesa pubblica per le pensioni in rapporto al PIL del nostro Paese è praticamente raddoppiata, in concomitanza con un miglioramento delle speranze di vita e un costante invecchiamento della popolazione. L’Italia mostra, infatti, la speranza di vita alla nascita più longeva (83,5 anni) tra i paesi dell’Unione Europa. Per quanto riguarda la proporzione degli ultrasessantacinquenni sul totale della popolazione, l’Italia si piazza al secondo posto (22,7%) su scala mondiale, alle spalle del solo Giappone (25,9%).

Fonte: OECD e Eurostat.

Un altro dato particolarmente preoccupante per i decenni a venire riguarda il tasso di dipendenza degli over 65 sulla forza lavoro.

In Italia, tra circa 30 anni, la percentuale di popolazione con età maggiore di 65 anni sarà pari al 62% della forza lavoro, un valore più alto di circa dodici punti percentuali della media in Unione Europea.

Insomma, ci saranno sempre più pensionati rispetto alla popolazione in età produttiva.

Considerando un sistema pensionistico “a ripartizione” come quello nostro, in cui le pensioni attuali vengono finanziate con i contributi versati oggi dai lavoratori attivi e dai datori di lavoro, è lecito porsi dei seri dubbi in merito alla sostenibilità e all’adeguatezza finanziaria degli assegni futuri .

Fonte: Eurostat

Come saranno le pensioni di domani? L’imperativo è iniziare a risparmiare!

Negli ultimi anni, molte economie hanno adottato importanti riforme pensionistiche, che mirano a contenere la crescita del numero di pensionati (aumentando l’ età pensionabile) e a ridurre l’importo delle pensioni. Oggi in Italia, il tasso di sostituzione, che misura quanto si riceve dalla pensione in rapporto all’ultima retribuzione, è intorno al 70%. Entro il 2060, la Ragioneria Generale dello Stato stima che il tasso di sostituzione possa ridursi progressivamente di almeno 12 punti percentuali.

In poche parole, le pensioni pubbliche di domani non riusciranno a garantire lo stesso livello di sicurezza che hanno avuto le generazioni precedenti. Di conseguenza, al fine evitare spiacevoli sorprese, i lavoratori di oggi dovrebbero iniziare ad adottare misure per integrare il loro reddito da pensione.

In che modo? Investendo i nostri risparmi tramite le varie forme di previdenza integrativa individuale, che non si traduce esclusivamente nel cosiddetto “fondo pensione”. Ogni individuo può, infatti, scegliere di investire liberamente allo scopo di sostenere il proprio tenore di vita una volta cessata l’attività lavorativa. Dal momento che l’obiettivo è quello di accumulare e far aumentare il più possibile il capitale nel tempo, l’investimento sui mercati finanziari può costituire una risorsa utile al conseguimento di potenziali rendimenti nel lungo periodo.

Ma quanto bisognerebbe risparmiare? Almeno il 10% dello stipendio annuale

A questa domanda ha dato risposta Mauricio Soto, economista del dipartimento degli Affari Fiscali del FMI. Le simulazioni suggeriscono che se i nati dopo il 1990 mettessero da parte ogni anno circa il 10% dei loro guadagni, riuscirebbero a colmare la metà del divario nel tasso di sostituzione economica rispetto ai pensionati di oggi. Per chiudere il gap, occorreranno ulteriori cinque anni di lavoro, spingendo così i requisiti per la pensione di vecchiaia oltre la soglia dei 70 anni. Insomma, addio alle pensioni di una volta: lavorare più a lungo e risparmiare di più per il pensionamento costituiscono ormai delle azioni inevitabili per le generazioni più giovani. E’ necessario quindi pensare per tempo all’integrazione della pensione per evitare di non farsi cogliere impreparati quando ormai potrebbe essere troppo tardi.

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