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Ricerca scientifica in Italia: tiriamo le somme

Soltanto 13 dei 30 ricercatori che hanno vinto il finanziamento di un bando porteranno avanti il loro progetto in Italia. Ciò che tenteremo di fare è di valutare la politica della ricerca italiana, ad iniziare dalla sua sostenibilità economica.

di Lorenzo Saggiorato - 29 Febbraio 2016 - 5'

Non più tardi di due settimane fa il nostro Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha commentato con soddisfazione il fatto che tra i vincitori dei bandi per la ricerca Grant Consolidators – finanziamenti fino a 2 milioni di euro che lo European Research Council assegna ad altrettanti ricercatori per portare avanti i loro progetti all’interno dell’Unione europea – ben 30 fossero italiani, tanti quanto i francesi.

I complimenti del Ministro sulla sua pagina Facebook hanno mosso però la reazione di una giovane ricercatrice italiana.

Roberta d’Alessandro, una delle fresche vincitrici del bando ordinario di linguistica presso il Leiden University Centre for Linguistics (LUCL) e direttrice del dipartimento di italiano nello stesso ateneo, ha ritenuto di dover opporre una doverosa precisazione, replicando a stretto giro sulle pagine dello stesso social:

«Ministra, la prego di non vantarsi dei miei risultati.

La mia ERC e quella del collega Francesco Berto sono olandesi, non italiane. L’Italia non ci ha voluto, preferendo, nei vari concorsi, persone che nella lista degli assegnatari dei fondi ERC non compaiono, né compariranno mai. E così, io, Francesco e l’altra collega, Arianna Betti (che ha appena ottenuto 2 milioni di euro anche lei, da un altro ente), in 2 mesi abbiamo ottenuto 6 milioni di euro di fondi, che useremo in Olanda. L’Italia ne può evidentemente fare a meno…»

Chi ha ragione? Purtroppo, è del tutto evidente, ha ragione Roberta.

Soltanto 13 dei 30 ricercatori che hanno vinto il finanziamento porteranno avanti il loro progetto in Italia e, cosa ancora più grave, tra tutti gli altri vincitori nessuno ha intenzione di sviluppare la ricerca finanziata dal bando nel nostro Paese.

Evidentemente esistono delle ragioni strutturali che ostacolano fortemente la ricerca italiana, sia che ad attuarla siano scienziati italiani, sia che italiano sia il luogo del loro sviluppo.

Cerchiamo allora di capire quali possono essere queste ragioni, anche alla luce della petizione lanciata dal fisico della Sapienza Giorgio Parisi dalle pagine della prestigiosa rivista “Nature”, «per invitare l’Unione Europea a fare pressione sui governi perché mantengano i finanziamenti alla ricerca oltre il livello di sussistenza, unico modo per assicurare che gli scienziati di tutta Europa, e non solo quelli di Regno Unito, Scandinavia e Germania possano competere per i finanziamenti Horizon 2020».

Ciò che tenteremo di fare è in sostanza di valutare la politica della ricerca italiana, ad iniziare dalla sua sostenibilità economica. Sempre più scarsa.

In Europa, i fondi per la ricerca sono erogati dalla Commissione e dai governi nazionali: la prima finanzia soprattutto grandi progetti internazionali di collaborazione, spesso in area di ricerca applicata; i secondi finanziano invece programmi scientifici su scala più piccola.

Dal 2008 ad oggi lo stanziamento di fondi del governo italiano è diminuito del 20% (a inflazione costante). Per la maggior parte sono risorse impiegate per pagare gli stipendi dei ricercatori e dei professori universitari: i tagli hanno bloccato il turnover, fatto perdere 10 mila posti di lavoro (tra docenti andati in pensione e non sostituiti e ricercatori emigrati all’estero).

Gli altri fondi erogati a livello nazionale, quelli per i Prin (Progetti rilevanti di interesse nazionale), si sono ridotti in media di un terzo: quest’anno ammontano appena a 92 milioni di euro, da destinare a tutte le aree di ricerca.

Tanto per rendere la gravità della situazione, basti pensare che il bilancio annuale dell’Agenzia della ricerca scientifica francese – corrispondente ai Prin italiani – si attesta attorno al miliardo di euro l’anno.

Andiamo ora ad analizzare i fondi europei: nel periodo 2007-2013 l’Italia ha contribuito al settimo programma quadro per un ammontare di 900 milioni di euro l’anno; ne sono rientrati solo 600. Mancano all’appello 300 milioni di euro, perduti per l’incapacità del governo di alimentare la ricerca di base.

I tagli dei finanziamenti nazionali – quelli per gli stipendi di professori e ricercatori, per intenderci – vengono rimpiazzati con i fondi europei, la cui vera finalità dovrebbe invece essere quella di meglio allestire ed ampliare i laboratori esistenti, tagliando in radice la possibilità che nel nostro paese venga fatta ricerca avanzata, cosa resa ancor più paradossale dall’effettiva eccellenza dei nostri ricercatori a livello mondiale, che seguitano a vincere finanziamenti per le più prestigiose borse di ricerca».

Una volta preso atto della disastrosa politica della ricerca ci corre l’obbligo di porci un’altra questione: non sarà che è anche la struttura fiscale italiana a disincentivare gli investimenti –in particolare stranieri – nelle realtà produttive più avanzate e conseguentemente maggiormente legate alla ricerca?

È questo il tema della prossima puntata.

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