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L’inflazione farà il suo ritorno dopo la fine del Covid-19?

Se nel secondo trimestre dell’anno c’erano preoccupazioni di deflazione o comunque di inflazione prossima allo zero a causa della presenza di un elevato output gap nell’economia, nelle ultime settimane vi è invece un crescente timore che i livelli di deficit fiscale e le massicce espansioni monetarie possano portare un'inflazione elevata quando l'epidemia finirà. Cosa ci riserverà il futuro?

di Redazione - 16 Settembre 2020 - 6'

Nel 2020 l’economia mondiale ha sofferto una pesante battuta d’arresto a causa delle restrizioni adottate in larga scala per ridurre la diffusione dell’epidemia di Covid-19.
Stando alle ultime previsioni del FMI quest’anno infatti il PIL globale dovrebbe contrarsi del 5%, quando l’ultima recessione provocata dalla Crisi Finanziaria del 2009 aveva “soltanto” fatto registrare un calo dello 0,1%.
I primi effetti della recessione economica hanno generato un aumento della disoccupazione e un crollo dei prezzi delle materie prime. Allo stesso tempo però, fortunatamente, i governi e le banche centrali hanno implementato misure di stimolo economico senza precedenti nella storia economica.
Se nel secondo trimestre dell’anno c’erano preoccupazioni di deflazione o comunque di inflazione prossima allo zero a causa della presenza di un elevato output gap nell’economia, nelle ultime settimane vi è invece un crescente timore che i livelli di deficit fiscale e le massicce espansioni monetarie possano portare un’inflazione elevata quando l’epidemia finirà.

Alcuni economisti credono infatti che una volta che l’attività economica si normalizzerà, la combinazione di una domanda più forte (come risultato della politica monetaria e fiscale) e dell’offerta limitata (come risultato dell’impatto del Covid-19 sulle catene di approvvigionamento globali) si tradurrà in una maggiore inflazione.

Alla luce dei grandi cambiamenti economici avvenuti quest’anno, il futuro potrebbe dunque riservarci un improvviso e violento ritorno dell’inflazione? A questa interessante domanda ha risponde Pasquale Diana, Senior Macro Strategist di AcomeA SGR.

 

Perché la Fed vorrebbe riportare inflazione nel sistema?

Per due ragioni.

La prima ha a che vedere con il tasso d’interesse reale, ovvero il tasso d’interesse ufficiale meno l’inflazione (headline o core). Più il tasso reale è basso, maggiore è lo stimolo monetario e l’incentivo al credito. Se l’inflazione – come negli ultimi anni – rimane sotto il target della banca centrale, quest’ultima avrà difficoltà nell’abbassare i tassi reali. La banca potrebbe in teoria tagliare il tasso nominale in territorio negativo, ma la Fed ha escluso questa ipotesi per ora. Ecco quindi perché la Fed cerca di creare aspettative d’inflazione: per spingere i tassi reali ancora più in basso.

La seconda ha a che vedere con la credibilità della Fed. Dopo la fine della crisi del 2008-2009, l’inflazione negli US è rimasta sotto il 2%. Negli ultimi 5 anni, l’inflazione sia headline che core è stata intorno all’ 1.5%. Le aspettative di inflazione nel mercato dei TIPS (titoli di stato statunitensi indicizzati all’inflazione) sono quasi sempre rimaste ben al di sotto del 2% nell’ultimo decennio. È evidente che tutto ciò non è coerente con un obiettivo di inflazione del 2%.

Quali sono i rischi associati alla creazione artificiale di inflazione?

Dopo un periodo di inflazione ben al di sotto del target, la Fed non solo non vede il pericolo di creare inflazione, ma addirittura si prefigge l’obiettivo di portare l’inflazione sopra il target.

Infatti, in occasione della conferenza annuale di Jackson Hole, tenutasi a fine agosto, la Fed ha annunciato l’intenzione di voler adottare un nuovo regime di inflazione (AIT – average inflation targeting). Questo implica che la Fed potrà tollerare periodi di inflazione sopra il 2% senza agire sui tassi di interesse, in quanto nell’ultimo decennio l’inflazione si è mantenuta regolarmente al di sotto del 2%. L’intento è quello di spostare le aspettative di inflazione del mercato e degli agenti economici.

Il pericolo, per adesso più teorico che reale, è che una combinazione di ampia liquidità monetaria, di crescita economica sopra le attese, e di problemi dal lato dell’offerta di beni (supply-side) sia talmente inflattiva che la situazione potrebbe sfuggire di mano. Certo, è ragionevole pensare che l’inflazione potrà superare le attese – ancora basse – del mercato. Non mi sembra probabile tuttavia che vada fuori controllo.

Quali sono i pericoli di creare inflazione in una situazione di recessione?

Questo fenomeno è raro oggigiorno nei mercati sviluppati, ma comune nei mercati emergenti dove spesso una svalutazione forte crea inflazione anche in condizioni di economia debole. I pericoli – come vediamo spesso nei mercati emergenti – sono tanti, ma ne menzionerei due in particolare.
Il primo è l’erosione del potere d’acquisto dei salari. In un’economia in recessione, è difficile che i salari possano tenere il passo dell’inflazione. E se lo facessero, questo probabilmente perpetuerebbe il trend di inflazione.
Il secondo è la scelta difficile che la banca centrale si vede costretta a fare. Rialzare i tassi per combattere l’inflazione, con il rischio di peggiorare la recessione? Oppure prendere tempo con il rischio che l’inflazione vada fuori controllo? Sono scelte molto difficili.

Cosa faranno Bce e le altre banche centrali, in risposta alla Fed?

In generale, il cambio di strategia della Fed rafforza il trend di tassi bassi per molti anni che in verità è già nei prezzi. Sulla BCE va fatto un discorso più complesso. Teniamo a mente che la BCE nelle ultime previsioni vede l’inflazione di tipo sottostante, quella che risponde alla domanda interna, attestarsi ancora attorno all’1% nel medio periodo – molto bassa. Da notare anche che il dato di Agosto ha mostrato un forte calo dell’inflazione da servizi, tradizionalmente legato alla forza della domanda interna. In aggiunta, il recente apprezzamento dell’euro chiaramente non aiuta le prospettive d’inflazione. Sembra lecito pertanto attendersi ulteriori mosse da parte della BCE nei prossimi mesi. Sul tavolo tra le opzioni principali ci sono ampliamento del QE (PEPP o APP), TLTRO più generose, forward guidance o riduzioni dei tassi in territorio ancor più negativo.

Aggiungerei anche che la conclusione della strategy review della Fed finirà con l’influenzare le conclusioni della BCE, che concluderà la sua strategy review nel 2021. Con ogni probabilità anche la BCE si sposterà verso average inflation targeting, anche se mettere d’accordo tutte le banche centrali dell’Eurozona probabilmente renderà questo esercizio più difficile di quanto non lo sia stato per la Fed.

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