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Addio austerità in Europa: ecco perché l’incubo potrebbe presto finire

In un mondo che si allontana sempre di più dalle ricette economiche del Washington Consensus, un cambio di rotta delle politiche improntate sull'austerità potrebbe presto manifestarsi anche in Europa...

di Piero Cingari - 16 Luglio 2019 - 6'

L’austerità in Europa potrebbe avere i mesi contati. A riferirlo è un recente studio pubblicato da un gruppo di economisti di Credit Suisse, secondo i quali è sempre più vicino l’arrivo di un vento di cambiamento nelle politiche fiscali dell’area euro.

Nell’ultimo decennio, il modello economico dell’eurozona è stato improntato su atteggiamento fiscale particolarmente restrittivo, conosciuto con il termine “austerity”.

Dal 2010 al 2018, il deficit dell’eurozona si è progressivamente ridotto e l’avanzo primario è aumentato ogni anno. Ciò significa che i governi hanno alzato le tasse e ridotto la spesa pubblica, strozzando i consumi e riducendo il potenziale di crescita.

Il rigore fiscale è stato uniforme in tutti i paesi membri, ma è stato particolarmente aggressivo nella periferia”, afferma la ricerca di Credit Suisse.

Il prezzo dell’austerità in Europa

La pressione fiscale nell’area euro si trova oggi sui massimi storici. In Francia, il cuneo fiscale pesa oltre il 48% del Pil e in Italia si attesta al 43%. Negli ultimi 10 anni, le tasse sui consumi (IVA) sono aumentate sensibilmente in quasi tutti i paesi.

Sul fronte della spesa pubblica, i paesi in crisi non avevano altra scelta che ridurre le spese per cercare di contenere il debito pubblico e mostrare disponibilità a rispettare il Patto di Stabilità e Crescita. A tal fine, si sono ridotte drasticamente le spese sociali, pensionistiche e sanitarie. Ma ancora più grave è stato il crollo degli investimenti pubblici in infrastrutture e istruzione, che ha contribuito alla debole crescita della produttività in Europa.

Paradossalmente, con le politiche di austerità si è addirittura avuto un aumento del rapporto tra debito e Pil nei paesi europei.

L’Italia è passata da un rapporto debito/PIl del 102%, nel 2008, al 132% nel 2018. È evidente che la riduzione della spesa e l’aumento delle tasse abbia portato la crescita a diminuire e il rapporto tra debito e Pil ad esplodere.

La cieca applicazione dell’austerità non ha soltanto provocato il disastro economico dell’eurozona. Oltre a frenare la crescita e la produttività, le politiche di riduzione del deficit fiscale hanno causato enormi problemi sociali e politici.

Di fatto, l’austerità ha smorzato la fiducia degli elettori nei partiti tradizionali e aperto la strada all’ascesa dei partiti populisti. Gli alti oneri fiscali e la contenuta spesa pubblica hanno determinato un sostegno crescente per i partiti populisti pronti a sbarazzarsi delle restrizioni fiscali e hanno innescato episodi di disordini civili, come il movimento dei Gillet Gialli in Francia”, afferma Credit Suisse.

Il vento del cambiamento è già in atto

Nel 2019, per la prima volta dopo 9 anni, il deficit fiscale non si ridurrà ulteriormente, attestandosi al -0,9% del Pil. Un deficit al -0,9% del Pil non può certo essere espansivo per la crescita, ma il vento inizia a cambiare.

La determinazione dei politici nel mantenere una politica fiscale restrittiva sta via via diminuendo, e continuerà a ridursi ad ogni nuova elezione. Anche, la Banca centrale europea è diventata notevolmente più incline nell’avere una politica fiscale più espansiva a fianco della politica monetaria.

La Francia ha ridotto le tasse per le famiglie quest’anno e ha aumentato il salario minimo, fornendo un chiaro impulso ai redditi disponibili delle famiglie.

In Italia, il governo ha orientato la politica fiscale in una direzione più espansiva e nel 2020 punta ad introdurre la flat tax per le famiglie. Inoltre, la Commissione Europea ha adottato un atteggiamento più comprensivo nei confronti dell’Italia, evitando l’apertura di una procedura di infrazione per debito eccessivo.

In Spagna, il governo aumenterà probabilmente la spesa sociale, alzando il salario minimo del 22%, mentre in Grecia, il governo neo-eletto, ha promesso tagli fiscali per consumatori e imprese.

Ma è la Germania, paladina dell’austerità fino ad ora, che dovrà guidare il cambiamento nel continente.

L’aumento del consenso nei Verdi, potrebbe essere il fattore che contribuirà ad un cambio di paradigma della politica fiscale ultra-restrittiva della Germania.

I Verdi, che godono di un ampio consenso stando agli ultimi sondaggi, invocano l’introduzione di stimoli fiscali per combattere il cambiamento climatico. Una sorta di Green New Deal, che potrebbe determinare la transizione dell’industria europea verso un modello green e a basse emissioni.

La fine dell’austerità è una tendenza percepibile a livello globale e testimonia il rigetto delle ricette del rigore promosse dal “Washington Consensus“.

Per l’Europa potrebbe significare la fine di un incubo che ha rovinato l’economia e impoverito i ceti medi della popolazione.

È ancora presto per dirlo, ma con il cambio di rotta potremmo aspettarci una crescita più forte, un più rapido calo della disoccupazione e una maggiore pressione inflazionistica.

Una maggiore spesa pubblica e una riduzione delle tasse possono anche contribuire a diminuire parte dello stress sociale associato all’austerità. A sua volta ciò ridurrebbe considerevolmente il rischio di vedere un Europa dominata dai partiti populisti.

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