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Banche buone, banche cattive e risparmiatori scottati

Nei giorni scorsi è stata disposta la soluzione alla crisi di quattro banche italiane, che si trovavano sotto il controllo di Banca d’Italia. Vediamo brevemente cosa prevede il salvataggio, interessante perché avviene sotto la nuova direttiva europea circa la risoluzione delle crisi bancarie. Due riflessioni sull’accaduto riguardano poi il non coinvolgimento (forse) dei contribuenti e le lezioni che si possono trarre da quei risparmiatori che sono rimasti scottati nell’operazione di salvataggio.

di Anna Schwarz - 27 Novembre 2015 - 6'

Nei giorni scorsi è stata disposta la soluzione alla crisi di quattro banche italiane, Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, CariChieti e Cassa di Risparmio di Ferrara, che si trovavano sotto il controllo di Banca d’Italia. Vediamo brevemente cosa prevede il salvataggio, interessante perché avviene sotto la nuova direttiva europea circa la risoluzione delle crisi bancarie. Due riflessioni sull’accaduto riguardano poi il non coinvolgimento (forse) dei contribuenti e le lezioni che si possono trarre da quei risparmiatori che sono rimasti scottati nell’operazione di salvataggio.

La risoluzione prevede innanzitutto la separazione di ogni istituto in due entità una banca “buona” e una “cattiva”. Nella banca “buona” confluiscono tutti i crediti ad esclusione di quelli in sofferenza che sono più difficilmente esigibili, i depositi, i conti correnti e le obbligazioni senior (chiarisci la definizione sotto). Nelle banche “cattive”, rimangono invece i crediti in sofferenza, per la parte non ripagata dall’annullamento del capitale azionario e delle obbligazioni subordinate. I risparmiatori che si trovano quindi in possesso di quei titoli vedranno il valore del loro investimento azzerato. Qui sta proprio una delle peculiarità dell’operazione perché le nuove regole sulla risoluzione delle crisi bancarie prevedono espressamente il coinvolgimento almeno di azionisti e obbligazionisti (solo subordinati fino a gennaio 2016) come requisito per poter accedere a un qualsiasi piano di risoluzione. Dopo lo scorporo tutte le nuove entità sono state dotate del capitale necessario tramite un’iniezione da parte del Fondo di risoluzione, che raccoglie capitali dagli istituti di credito italiani. In totale l’operazione richiede un finanziamento di circa 3,6 miliardi.

Uno degli obiettivi principali della risoluzione è quello di non coinvolgere le casse pubbliche nel salvataggio, e pare che sia stato raggiunto. Formalmente infatti non è previsto nessun intervento dello Stato. Rimane però solo un dubbio. Il Fondo di risoluzione, non ha un soldo. Il veicolo è infatti stato istituito pochi giorni fa e sarà dotato di un suo capitale nel tempo grazie alle contribuzioni annuali delle banche italiane. Oggi però non dispone degli oltre 3 miliardi necessari al salvataggio. A fornire i capitali sono state chiamate in causa tre grandi banche italiane, tramite l’erogazione di due prestiti. Uno a breve termine, da ripagare entro la fine del 2015, e uno a 18 mesi. La prima parte sarà ripagata dai contributi ordinari delle banche al Fondo (non sufficienti) e da un anticipo sulle contribuzioni degli anni a venire. La linea di credito a 18 mesi sarà invece rimborsata dai proventi della vendita delle banche “buone”. Come osserva un recente articolo su Lavoce.info, il ricorso a un anticipo sui contributi annuali del Fondo di risoluzione indebolisce lo stesso nel caso siano necessari ulteriori interventi nei prossimi anni. Qualora poi la vendita degli asset delle banche ristrutturate avvenga con tempistiche più lunghe o a prezzi inferiori di quanto auspicato, il Fondo potrebbe avere difficoltà a rimborsare il secondo prestito. In quel caso interverrebbe a garanzia verso le tre banche creditrici la Cassa Depositi e Prestiti, una società il cui maggiore azionista è il Ministero del Tesoro. Speriamo che anche in quel caso si possa non parlare di un intervento pubblico, in quanto il debitore di ultima istanza dovrebbe rimanere comunque il Fondo, e quindi il settore bancario nel suo complesso. Vedremo.

Il coinvolgimento di azionisti e detentori di obbligazioni subordinate, è sicuramente un fatto su cui riflettere e da cui trarre una lezione. Deve esistere sempre una relazione positiva tra rischio e rendimento. Il fatto che le obbligazioni bancarie subordinate rendano di più di un titolo di Stato o di un’obbligazione senior della stessa banca è inevitabilmente legato al rischio che i diversi titoli incorporano. Tuttavia, la diffusione di obbligazioni subordinate tra le famiglie italiane suggerisce o che i risparmiatori hanno in realtà un profilo di rischio molto più elevato di quanto solitamente si ritiene, oppure che è venuta meno la piena comprensione dello strumento che si era in procinto di sottoscrivere. Per il risparmiatore italiano, le obbligazioni bancarie sono un po’ un caso a sé stante rispetto alle altre obbligazioni societarie in quanto il loro acquisto è direttamente incentivato proprio dallo sportello. È emblematico il dato che proviene da Banca d’Italia, per cui la quasi totalità delle obbligazioni societarie detenute dalle famiglie sono proprio obbligazioni bancarie.

I recenti accadimenti rappresentano un’ottima occasione per richiamare qualche buona norma sulla gestione degli investimenti. A un rendimento atteso maggiore corrisponde un rischio più elevato, è quindi importante valutare attentamente se lo strumento che si inserisce nel proprio portafoglio è adeguato alla capacità di ognuno di sopportare un’eventuale perdita. Bisogna sempre diversificare i propri investimenti. Nel malaugurato caso in cui un correntista di una delle banche sotto salvataggio aveva sottoscritto un’obbligazione subordinata investendo buona parte dei propri risparmi, quel risparmiatore riporta oggi una perdita irragionevolmente consistente. Diversificando invece l’investimento si evita di trovarsi in questa situazione.

Pillola: obbligazioni senior e subordinate

Le obbligazioni di una società si differenziano in base alla priorità di rimborso. In caso di fallimento della società emittente, le obbligazioni senior sono rimborsate prima; in seguito sono eventualmente rimborsate le obbligazioni subordinate. Essendo queste ultime dei crediti a maggior rischio presentano dei rendimenti superiori rispetto alle obbligazioni senior.

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