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L’Italia chiama. Le banche rispondono?

Il settore bancario è chiamato ad affrontare sfide cruciali che avranno un impatto enorme sul sistema Italia. L’esigenza di riavvicinarsi al sistema industriale da un lato, fornendo supporto creditizio e consulenza che aiutino davvero le aziende, e dall’altro il tornare a incentivare il risparmio attraverso prodotti semplici e trasparenti e servizi innovativi, richiedono un enorme sforzo al sistema bancario. Non è certo però se questo sia attrezzato per raccogliere la sfida.

di Anna Schwarz - 3 Dicembre 2013 - 5'

Il settore bancario è chiamato ad affrontare sfide cruciali che avranno un impatto enorme sul sistema Italia. L’esigenza di riavvicinarsi al sistema industriale da un lato, fornendo supporto creditizio e consulenza che aiutino davvero le aziende, e dall’altro il tornare a incentivare il risparmio attraverso prodotti semplici e trasparenti e servizi innovativi, richiedono un enorme sforzo al sistema bancario. Non è certo però se questo sia attrezzato per raccogliere la sfida.

La centralità del settore bancario nell’erogazione di credito alle imprese italiane fa sì che l’attuale rallentamento dei prestiti abbia effetti gravissimi sul sistema produttivo. La soluzione a questo enorme problema non è tuttavia scontata perché la bassa crescita economica, l’aumento dei crediti in sofferenza nei bilanci bancari, l’imminente processo di rassegna degli attivi e i requisiti di capitale previsti dagli accordi di Basilea sono tutti elementi che frenano le banche nell’erogazione di credito e assunzione di ulteriore rischio. Dal momento che l’attività di intermediazione continua a rappresentare una quota consistente dei profitti delle banche, queste hanno tutto l’interesse a continuare ad erogare credito. Ciò che si richiede alle stesse tuttavia va ben oltre: è necessario che si avvicinino al mondo produttivo, conoscendo le imprese e allocando credito sui progetti più meritevoli senza rispondere a logiche ed interessi particolari e clientelari.

Anche sul fronte del risparmio il lavoro è impegnativo. La priorità deve essere quella di incentivare il risparmio dei cittadini, riguadagnandone la fiducia, persa a causa di troppi episodi di mala finanza, che ancora oggi riempiono le pagine dei giornali (e le colonne di questo blog). Sarà fondamentale che le banche ripensino il proprio modo di relazionarsi con il cittadino, proponendo prodotti semplici e convenienti, che facciano realmente l’interesse di quest’ultimo, innovando invece in termini di servizio per renderlo più accessibile e fruibile, anche attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Questi cambiamenti, indispensabili sia per il Paese sia per il sistema bancario, richiedono sicuramente un importante sforzo alle banche, richiedono molta dedizione, capacità di innovare e di rinnovarsi, rinnegando quindi logiche che hanno caratterizzato la mala gestione passata (e spesso presente) quali la vendita di prodotti poco trasparenti o il credito erogato agli amici degli amici. Sarà inoltre fondamentale operare in totale assenza di conflitti di interessi che troppo spesso sono stati all’origine di scelte rivelatesi poi disastrose (e costose per i contribuenti). Ma il settore è preparato a raccogliere queste sfide?

L’analisi compiuta da Banca d’Italia sulla composizione dei consigli di amministrazione nel 2012 di 43 banche italiane getta diverse ombre sulle potenzialità del sistema di riuscire a voltare pagina. L’età media all’interno dei consigli di amministrazione supera i 60 anni. Il dato è leggermente superiore a quello relativo ad altre società quotate italiane (59,3) e alle prime 25 banche europee (58,8). Se l’età media elevata non sembra essere una peculiarità del settore, non suggerisce certo una particolare propensione all’innovazione e al cambiamento richiesti. Più preoccupanti sono considerazioni legate alla disponibilità di tempo dei consiglieri che per il 40% sono titolari di almeno cinque cariche in diverse società. È difficile immaginare come questo possa essere compatibile con uno svolgimento dell’incarico con l’impegno e le risorse che la complessità e importanza del ruolo richiedono. La prassi diffusa di occupare diverse poltrone pone il serio interrogativo circa la presenza di conflitti di interessi per i consiglieri. Tale tema è stato regolato con l’introduzione nel 2012 del divieto di cumulo di incarichi nel settore bancario, finanziario e assicurativo, che dovrebbe teoricamente arginare i possibili conflitti. Emerge, infatti, che i consiglieri del campione detengono cariche esecutive solo in altre società non finanziarie. Guardando però alla qualifica dei consiglieri la quota di indipendenti non appare bassa ma il rapporto lamenta un’applicazione della definizione spesso arbitraria e poco efficace. Ciò nonostante, in troppi casi i consiglieri indipendenti rappresentano solo una piccola porzione del totale. I restanti sono nominati dagli azionisti di maggioranza e delle fondazioni bancarie, che spesso riescono a garantirsi il controllo di fatto del consiglio pur non possedendo la maggioranza assoluta del capitale. Non è scontato quindi che le decisioni prese in sede di consiglio di amministrazione rispondano all’interesse dell’azienda nel suo complesso e tanto meno del piccolo azionista e del risparmiatore.

Gli ostacoli da superare perché le banche possano tornare a conquistare la fiducia dei cittadini e a essere effettivamente di supporto alla crescita del Paese vengono in larga parte dal loro interno. Gli stessi consigli di amministrazione, caratterizzati da un’età media elevata, con consiglieri che ricoprono una moltitudine di cariche, a discapito del tempo e delle risorse che possono dedicare al ruolo, e vincolati da una rete di interessi che fa capo alle fondazioni sono portatori di quel impegno, quell’autonomia e quell’indipendenza necessarie ad affrontare la sfida? E la vostra banca, ha le carte per farcela?

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