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Pensione anticipata con Ape? Occhio alle penalizzazioni

Ape è l’acronimo di “anticipo pensionistico”. Entrerà in vigore con la legge di stabilità del 2017, e prevede che dal 1° gennaio 2017 tutti i lavoratori (privati, pubblici e autonomi) nati tra il 1951 e il 1953, che hanno raggiunto 42 anni di contribuzione, possano anticipare il pensionamento fino a tre anni a fronte di una riduzione dell’assegno pensionistico.

di Sofia Pescia - 28 Giugno 2016 - 7'

Che cos’è l’Ape

Ape è l’acronimo di “anticipo pensionistico”. Entrerà in vigore con la legge di stabilità del 2017, e prevede che dal 1° gennaio 2017 tutti i lavoratori (privati, pubblici e autonomi) nati tra il 1951 e il 1953, che hanno raggiunto 42 anni di contribuzione, possano anticipare il pensionamento fino a tre anni a fronte di una riduzione dell’assegno pensionistico.

Perché è stato introdotto Ape?

L’idea sottostante l’introduzione di questo meccanismo è che, anticipando il pensionamento,si creeranno nuovi posti di lavoro per i giovani e si favorirà l’esodo dei lavoratori più penalizzati dalla riforma pensionistica Fornero. E’ un dato di fatto che la popolazione italiana sia “vecchia”, secondo il rapporto ISTAT 2016 ogni 100 giovani ci sono 166 anziani. Questo dato colloca l’Italia tra i paesi più longevi al mondo, ma è un macigno per i conti dell’INPS e per il mercato del lavoro. Nel 2011 la riforma Fornero ha esteso l’età di pensionamento senza gradualità e penalizzando soprattutto i lavoratori nati tra il 1951 e il 1953. L’accesso dei giovani al mercato del lavoro è diventato ancora più difficile: il tasso di disoccupazione giovanile è del 37,9 % contro quello medio del 22% dell’Eurozona (ISTAT 2016).

Come funziona l’Ape?

Chi deciderà di anticipare il pensionamento potrà uscire dall’attività lavorativa fino a tre anni prima, rispetto ai 66 anni e 7 mesi previsti, accettando un taglio sull’assegno pensionistico. Il beneficiario non dovrà recarsi in banca per richiedere l’anticipo né dovrà presentare alcuna garanzia reale per ottenerlo. Infatti, l’anticipo verrà erogato dagli istituti di credito tramite l’INPS e garantito con un’assicurazione sul rischio di morte del pensionato, il cui premio si ipotizza del 30%. Si inizierà a ripagare l’anticipo a partire dal raggiungimento del 66esimo anno di età. Pertanto all’età di 87 anni il debito sarà completamente restituito.

L’assegno anticipato non potrà superare il 95% della pensione di vecchiaia. Il costo complessivo dell’anticipo sarà dato dal tasso annuo nominale da rimborsare alla banca e dal premio assicurativo. Si ipotizza che il tasso medio applicato sull’anticipo sarà di circa il 3% annuo. A questo andrà aggiunto il costo dell’assicurazione di cui sopra. Il costo annuo che dovrà dunque sopportare il pensionato per aver anticipato l’uscita dal mondo del lavoro potrà variare tra l’1,4% e il 5% dell’anticipo e avrà durata pari a vent’anni.

L’ammontare della rata dipenderà anche dalla categoria di appartenenza di chi richiederà l’anticipo. Si ipotizzano tre categorie:

1.Disoccupati senza speranza di reimpiego e in condizioni di disagio.

2.Dipendenti il cui anticipo è richiesto dal datore di lavoro.

3.Lavoratori che dovessero richiedere volontariamente l’anticipo pensionistico.

Nel calcolo conteranno anche altri fattori come: il reddito, il motivo e la lunghezza del pre-pensionamento. Più si anticipa il pensionamento maggiore sarà la decurtazione dall’assegno pensionistico. Per quanto riguarda la prima categoria il disoccupato che richiede l’anticipo potrà beneficiare di aiuti pubblici sotto forma di detrazioni fiscali che varieranno tra il 45% e il 65% della rata di ammortamento. Se sarà il datore di lavoro a richiedere il pensionamento anticipato (categoria 2) allora in base ai fattori sopra citati dovrà sostenere parte dei costi di rimborso dell’anticipo. Anche in caso di uscita volontaria (categoria 3) saranno previste detrazioni fiscali, ma minori rispetto ai primi due casi. Infatti, è previsto che i lavoratori con pensione lorda dai 5 mila euro ed oltre non avranno diritto alle detrazioni fiscali.

Facciamo un esempio:

Consideriamo la seconda categoria in cui un lavoratore nato nel 1953 con una pensione netta di vecchia di 1.863 euro decida di anticipare volontariamente la pensione di tre anni (al 2017 invece che al 2020). Inoltre, ipotizziamo che scelga di farsi anticipare il 95% dell’assegno pensionistico così da ricevere per tre anni 1.770 euro al mese. A partire dal 66esimo anno di età dovrà ripagare l’anticipo tramite rate di 465 euro al mese per venti anni. L’incidenza media sul suo assegno pensionistico sarà del 5,03%. Trascorsi i venti anni, quindi all’87esimo anno di età, la pensione netta sarà di 2.388 euro al mese. Se invece il lavoratore anticipasse il pensionamento di solo un anno la rata passerebbe a 150 euro al mese con un’incidenza media del 4,89%. Se l’anticipo richiesto ad un anno fosse del 55% allora l’Ape netto sarebbe di 1.025 euro. Passato l’anno il pensionato dovrà pagare una rata di 85 euro al mese con un’incidenza media del 2,76%.

(Scenario stimato dal Sole24ore).

Pro e contro di Ape:

I costi sostenuti dal lavoratore potranno essere più significativi per i redditi più alti. Infatti, alcune stime di Uil prevedono fino ad una riduzione dell’assegno pensionistico del 5% all’anno. Inoltre, anticipando la pensione la penalizzazione più significativa sarà data dal fatto che verranno meno i versamenti dei contributi. Da non sottovalutare l’impatto del tasso di interesse che dovrà essere pagato alle banche per l’anticipo. Altro nodo da sciogliere riguarda le detrazioni fiscali. In particolare sarà necessario stabilire quando lo Stato o il datore di lavoro interverranno direttamente nel finanziamento della rata da ripagare. Va detto che l’introduzione di Ape potrà rendere più flessibile il sistema pensionistico italiano facilitando l’uscita dal mondo del lavoro e lasciando posti di lavoro ai giovani. Inoltre, grazie alle agevolazioni fiscali, ancora da definire, si garantirà un aiuto maggiore a chi è stato più sfortunato sul mercato del lavoro in modo da ridurre l’impatto del taglio sull’assegno pensionistico. In questo modo, i lavoratori con redditi più bassi saranno compensati da un minor carico fiscale. In ogni caso, ricordiamo che Ape è ancora da definire nei suoi punti principali e che quelle presentate sono solo ipotesi di scenari ritenuti più probabili.

Se converrà o meno sottoscrivere Ape lo sapremo con maggior certezza soltanto a partire dal 2017 quando entrerà in vigore. Certo bisognerà valutare diversi fattori tra cui la retribuzione attuale, la situazione personale e lavorativa, ma soprattutto i costi e le penalizzazioni che ne potrebbero scaturire.

Per questo motivo, ne emerge che contare solo sulla pensione per la propria vecchiaia non è più sufficiente. Infatti, è necessario pensare a dei piani integrativi all’assegno pensionistico.

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