Dopo diciotto mesi di prolungata fase ribassista culminata con la caduta a 27 dollari al barile, il petrolio ha recuperato terreno nelle ultime settimane attestandosi in area 40$.
La crescita dei prezzi potrebbe essere stata alimentata da mosse strategiche sul congelamento della produzione da parte di Arabia Saudita e Russia, lo scorso 16 febbraio, a Doha, di cui abbiamo parlato in questo blog.
Dal lato della domanda, sono arrivati segnali incoraggianti sulle condizioni economiche della Cina e su alcuni settori chiave dell’industria statunitense.
Sui principali listini finanziari il sentiment sui prezzi dell’oro nero sembra essere migliorato. Come spesso scriviamo su queste pagine, le previsioni sono avvolte nell’incertezza: alla fine del 2015 gli analisti Goldman Sachs avevano previsto un crollo a 20 dollari al barile mai verificatosi, mentre oggi Barclays non vede forti segnali di ripresa a lungo termine. Molto dipenderà dalla prossima riunione dell’OPEC fissata per il 20 Marzo.
E’ utile invece provare a dare risposte ad alcuni interrogativi che si pone l’opinione pubblica: chi sono i vincitori e i vinti di questa partita?
Secondo l’Economist, una diminuzione del prezzo del petrolio del 10% può far aumentare la crescita dello 0,5 – 1 in punti percentuali ma, come vedremo, l’effetto finale potrebbe essere più complesso.
Per i paesi importatori di petrolio, per le imprese che utilizzano il petrolio come input di produzione e per i consumatori,la libera caduta del greggio ha determinato sicuramente dei risparmi stimolando la crescita di alcune economie e settori produttivi.
La Cina, il maggiore consumatore al mondo con 7,5 milioni di barili al giorno, è ospite d’onore al tavolo dei vincitori in quanto un calo del 10% del prezzo del greggio può portare allo 0,3% di crescita supplementare. Stesso discorso vale per l’India (0,5%) el’Indonesia (0,3%).
A beneficiare di un basso prezzo del greggio è stato anche il settore dei trasporti. Nel 2015, le compagnie aeree mondiali hanno speso 180 miliardi di Euro in carburante contro i 226 dell’anno precedente realizzando un risparmio di circa 46 miliardi. Air France ha registrato utili dopo 7 anni consecutivi di perdite, una performance ottenuta in parte grazie a una significativa campagna di riduzione dei costi, ma anche per via di un sostanziale aiuto arrivato dal declino del prezzo dei carburanti.
Notizie positive dal settore dei trasporti e logistica delle merci. Secondo un’indagine di Confetra (Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica) si segnala la crescita dell’autotrasporto italiano (+3%) ed estero (+2,7%), confermato sia dal traffico autostradale cresciuto del 3,3%, sia dai transiti nei valichi alpini aumentati del 2,5%, frutto sia di una crescita della domanda che del calo del prezzo del greggio.
Per gli automobilisti italiani il risparmio è stato più contenuto a causa del peso rilevante delle accise sul costo del carburante che lo rende meno reattivo al calo del prezzo del greggio (come si vede dall’immagine) ma un risparmio c’è stato.
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Gli italiani hanno risparmiato 7,1 miliardi di euro alla pompa del distributore. La cifra comprende i 6,2 miliardi relativi al prezzo industriale dei carburanti e i 900 milioni di minor gettito fiscale. Per un auto di media cilindrata, nel 2015 gli automobilisti italiani hanno risparmiatocirca 10 euro ad ogni pieno.
Se il calo del greggio si è rivelato un fattore positivo per alcune economie, per altre invece (Paesi del Golfo, Africa, Sud America e Russia) si contano i danni.
L’Arabia Sauditasi trova a fare i conti con la parola “austerity” dovendo tagliare il budget di spesa per far fronte a un deficit del 15% del Pil.
Meglio non se la passa la Russia, dove la metà delle entrate statali dipende dalle esportazioni di gas e petrolio.
Anche all’interno di una stesa economia si ritrovano effetti contrastanti: mentre i consumatori statunitensi fanno festa, il settore US dell’energia naviga in cattive acque: il rating del 73% delle società energetiche è ormai declassato a junk bond (titoli spazzatura).
Un’altra vittima illustre è la Norvegia dove un buon salmone di 4 chili acquistato al mercato del pesce di Oslo vale più di un barile di Brent. La crescita dello stato scandinavo è tenuta in ostaggio dall’industria del petrolio e del gas e inoltre, il tasso di disoccupazione (4,5%) è tornato ai massimi del 2006.
Oltre ai danni economici, Nigeria, Venezuela e Nord Africa rischiano grosso dal punto di vista dell’instabilità geopolitica.
Infine, a pagare a caro prezzo le conseguenze, sono stati i lavoratori dell’industria petrolifera che, solo nel 2015, ha perso 90 mila posti di lavoro.
Possiamo riassumere questa sfida tra produttori e consumatori di petrolio con un particolare studio condotto da Bloomberg New Energy Finance (BNEF) che ha stimato guadagni e perdite derivanti da un crollo del prezzo del petrolio di 50$ e di 4$ del prezzo del gas naturale (eventi che si sono registrati tra marzo 2014 e marzo 2015).
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A conti fatti, il totale dei guadagni equivale a quello delle perdite in termini globali.
Per finire, ci troviamo davanti a un periodo in cui i mercati devono tenere allacciate le cinture di sicurezza a causa delle turbolenze che potrebbero arrivare prima e dopo la prossima riunione dell’Opec ma, nulla di più.
A meno di non ricommettere i clamorosi errori del passato, il rischio di una nuova pesante recessione è abbastanza lontano.