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Ricchezza: nonni e nipoti sempre più distanti

Sempre meno ricchi. La ricchezza delle famiglie italiane è scesa del 12,7% tra il 2010 e il 2012, ma non per tutti. Questa è, infatti, sempre più concentrata e i dati suggeriscono che il processo potrebbe continuare.

di Anna Schwarz - 25 Febbraio 2014 - 6'

Sempre meno ricchi. La ricchezza delle famiglie italiane è scesa del 12,7% tra il 2010 e il 2012, ma non per tutti. Questa è, infatti, sempre più concentrata e i dati suggeriscono che il processo potrebbe continuare.

La ricchezza netta delle famiglie è rappresentata dal valore delle attività possedute (rappresentate sia da attività reali, quindi immobili, e attività finanziarie) meno il valore delle passività , ossia dei debiti. La Banca d’Italia riporta che la ricchezza mediana delle famiglie italiane, ossia la ricchezza della famiglia che si posiziona esattamente a cavallo tra la metà di famiglie più povere e la metà di famiglie più ricche, è calata di quasi 13 punti percentuali tra il 2010 e il 2012, raggiungendo il valore di 143.300 euro nel 2012.

Questo calo è, in buona parte, spiegato dalla riduzione dei prezzi degli immobili, che rappresentano quasi il 60% della ricchezza netta delle famiglie. Vi è tuttavia una componente più preoccupante che questo semplice dato non racconta. La ricchezza non si è, infatti, ridotta proporzionalmente per tutti i cittadini, ma è andata via via concentrandosi nelle mani di pochi gruppi sociali. Va aumentando quindi la disuguaglianza della distribuzione della ricchezza, come testimoniato dall’aumento dell’indice di Gini, che nel 2012 ha raggiunto quota 64%, aumentando di due punti percentuali in due anni. L’indice di Gini è un indicatore di concentrazione e varia tra 0 e 100%, dove 0 rappresenterebbe una società perfettamente equa, dove, in questo caso, ogni famiglia possiede la stessa quota di ricchezza, mentre un valore di 100 si avrebbe se la famiglia più ricca possedesse la totalità della ricchezza. Vediamo quindi cosa ha spinto questo incremento della disuguaglianza ossia chi ha perso di più in questi anni e chi invece sta relativamente meglio.

Osservando i dati di Banca d’Italia colpisce l’andamento divergente della ricchezza delle famiglie più giovani, sotto i 34 anni, rispetto a quella dei nuclei con un capofamiglia oltre i 64 anni. Il grafico mostra l’andamento della ricchezza netta delle famiglie suddiviso per età del capofamiglia, rispetto alla media del paese (normalizzata a 100 ogni anno).

Negli ultimi dieci anni si è creato un crescente divario tra la ricchezza delle famiglie più giovani e la media nazionale. La ricchezza degli under 35 è infatti passata dall’essere pari all’80% della media italiana nel 2002, all’attuale 20%, per un valore mediano di 25.000 euro. Una riduzione meno grave ma con una dinamica simile è quella che ha colpito la ricchezza delle famiglie con un capofamiglia tra i 35 e 44 anni. Destino opposto è invece quello che è toccato alle famiglie con un capofamiglia pensionato: la ricchezza di questo gruppo, che era simile a quella dei più giovani negli anni Novanta e all’inizio degli anni Duemila, ha visto un costante miglioramento in termini relativi, portandosi al di sopra della media nazionale. Questa dinamica ricalca quanto è accaduto riguardo al reddito, che si è contratto maggiormente per le fasce più giovani della popolazione, a causa dell’aumento della disoccupazione e della precarietà e della riduzione dei salari. Gli over 64, potendo contare sul sistema pensionistico, hanno visto un miglioramento relativo delle proprie entrate.

I nuclei con un capofamiglia oltre i 64 anni, non solo sono stati in grado di preservare la propria ricchezza, vedendone crescere la propria quota sul totale nazionale, ma hanno anche ridotto sensibilmente di meno la propria esposizione a strumenti finanziari. Negli ultimi dieci anni abbiamo assisto a una riallocazione delle attività finanziarie: si è, infatti, fortemente ridotta la diffusione di Titoli di Stato, azioni, obbligazioni e fondi comuni, mentre è aumentata la percentuale di famiglie che scelgono i depositi bancari e postali. Se andiamo però a scomporre il possesso delle attività finanziarie più evolute (con un profilo rischio rendimento più elevato), escludendo quindi depositi e Titoli di Stato, vediamo che i pensionati sono il gruppo che hanno ridotto la propria esposizione in misura minore. Nel 2000, il 20,4% delle famiglie italiane deteneva attività finanziarie di cui sopra, mentre nel 2012 il dato è sceso al 14,2%, riducendosi di circa un terzo. Anche tra i pensionati la quota di famiglie detentrici di attività finanziarie è scesa ma in misura molto più ridotta, passando dal 15 al 13,5%.

Perché è importante guardare alla diffusione di attività finanziarie? Una risposta è fornita dal grafico sottostante che rappresenta l’andamento di lungo periodo di un indice azionario e uno obbligazionario globale, che possono fornire un’indicazione approssimativa dell’andamento dei rispettivi mercati.

Malgrado la volatilità dell’azionario, entrambi i mercati hanno più che raddoppiato il proprio valore nel periodo considerato. I dati sulla composizione della ricchezza ci dicono che ci sono gruppi sociali che sono sempre più esclusi da questi mercati. Si alimenta così un circolo vizioso per cui chi riesce a preservare il proprio livello di ricchezza e ne destina una parte ad attività finanziarie, beneficerà dei rialzi di lungo periodo dei mercati, andando così ad incrementare la propria ricchezza. Chi invece vede una riduzione della propria ricchezza, riduce l’esposizione ai mercati finanziari precludendosi così una potenziale fonte di miglioramento della propria situazione economica.

Gli ultimi dieci anni, e ancora di più gli anni della crisi, hanno visto una forte concentrazione della ricchezza, penalizzando soprattutto le famiglie più giovani, preservando invece gli over 64. Tale dinamica ha anche influenzato la diffusione di attività finanziarie, creando così un meccanismo che può solo alimentare ulteriormente il divario tra i diversi gruppi della popolazione, con alcuni che vedranno un continuo miglioramento della propria situazione a differenza di altri, che, oltre che a subire sul fronte reddituale una difficile situazione sul mercato del lavoro, sono sempre più esclusi dai benefici dei mercati finanziari.

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