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Le agenzie di rating sono da anni oggetto di forti critiche da parte della politica e dell’economia. L’ultima voce che si alza dal coro è quella di Banca d’Italia, CONSOB, IVASS e COVIP che in una nota congiunta invitano i gestori di fondi a non fare affidamento esclusivamente sui giudizi delle agenzie di rating, ma di dare maggior peso invece a procedure interne di valutazione del rischio.

di Luigi Ripamonti - 26 Luglio 2013 - 3'

Le agenzie di rating sono da anni oggetto di forti critiche da parte della politica e dell’economia. L’ultima voce che si alza dal coro è quella di Banca d’Italia, CONSOB, IVASS e COVIP che in una nota congiunta invitano i gestori di fondi a non fare affidamento esclusivamente sui giudizi delle agenzie di rating, ma di dare maggior peso invece a procedure interne di valutazione del rischio.

Le società di rating svolgono un ruolo importante nei mercati finanziari in quanto forniscono informazioni ai risparmiatori circa l’affidabilità (e solvibilità) degli enti (pubblici e privati) che si finanziano sul mercato. L’investitore, che per competenze e mezzi non può analizzare i bilanci di tutte le società che potrebbero interessarlo, ha così uno strumento che lo aiuta a scegliere consapevolmente l’investimento più adatto alle proprie esigenze. Tuttavia le critiche che vengono sollevate da molti sono tutt’altro che ingiustificate, vediamo un po’ quali sono i punti deboli:

  • Concentrazione del mercato. Il mercato è composto quasi esclusivamente da 3 società private americane, Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch, che da sole ne controllano circa il 95%, quindi con una concorrenza praticamente inesistente.
  • Sistema di incentivi perverso. Il ruolo delle agenzie è quello di valutare le imprese e gli enti pubblici per fornire un’opinione oggettiva ai risparmiatori circa il rischio di credito; però sono le imprese stesse a pagare per il servizio e non l’utilizzatore finale. È chiaro quindi come le società di rating abbiano un enorme conflitto d’interesse perché avranno maggiore convenienza a dare giudizi lusinghieri (o almeno edulcorati) alle imprese analizzate, che avranno così migliore accesso al credito, piuttosto che rispondere esclusivamente alle esigenze del risparmiatore.

Questa situazione ha portato a innumerevoli clamorosi errori di valutazione quali il caso Enron nel 2001, in cui la società era valutata ancora un investimento affidabile (investment grade) a poche settimane dal crollo come più recentemente Lehman Brothers, AIG, Bear Stearns, Fannie Mae e Freddie Mac. Questo non significa certo che i giudizi delle società di rating siano sempre inaffidabili ma che certo vanno considerati con atteggiamento critico. Questo non è però quanto succede nel caso di molti gestori di fondi comuni e fondi pensione che si sono invece vincolati a investire solo in obbligazioni di emittenti con rating superiore ad una certa soglia. L’effetto di questa impostazione è che nel momento in cui una società di rating declassa un emittente sotto la soglia critica, innesca la vendita automatica sul titolo da parte di molti operatori con conseguente crollo del prezzo ed effetti destabilizzanti sui mercati.

Lo scopo delle autorità di vigilanza è quindi quello di ridurre la cieca dipendenza delle scelte di investimento dai pareri, spesso opinabili, delle società di rating. Il risparmiatore può incentivare questo processo scegliendo per i propri risparmi fondi e società di gestione che non si affidano meccanicamente ai pareri dei 3 grandi del rating ma che hanno al loro interno professionisti capaci di valutare il rischio di credito e le opportunità di investimento nell’interesse dei propri clienti.

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