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All’impossibile rincorsa del debito

Tanto corriamo, facciamo, sudiamo, che il debito pubblico rimane sempre lì. Anzi aumenta. Ogni anno il governo si esprime sull’andamento futuro del rapporto debito/PIL, ma le previsioni vengono continuamente infrante al rialzo, come testimonia il grafico sottostante, in cui sono rappresentate le stime dell’indicatore secondo i diversi Documenti di Economia e Finanza emanati negli ultimi anni.

di Elisabetta Villa - 3 Giugno 2014 - 5'

Tanto corriamo, facciamo, sudiamo, che il debito pubblico rimane sempre lì. Anzi aumenta. Ogni anno il governo si esprime sull’andamento futuro del rapporto debito/PIL, ma le previsioni vengono continuamente infrante al rialzo, come testimonia il grafico sottostante, in cui sono rappresentate le stime dell’indicatore secondo i diversi Documenti di Economia e Finanza emanati negli ultimi anni.

Nel 2011 il Documento di Economia e Finanza prevedeva che il debito pubblico avrebbe toccato quell’anno l’apice del 120% del PIL per poi scendere rapidamente e raggiungere nel 2014 il 112,8%. L’anno successivo la previsione per il 2014 fu rivista al rialzo al 118,2%, mentre l’anno seguente, il DEF del 2013 alzò la stima di oltre 10 punti fino al 129%. Infine, l’ultimo DEF riporta per la fine del 2014 il debito pubblico al 134,9% del PIL. Purtroppo confrontando le proiezioni fatte negli ultimi anni notiamo come queste seguano tutte una dinamica molto simile. Tutti i governi si sono concessi un aumento inerziale per l’anno successivo alla pubblicazione per poi sistematicamente prevedere una riduzione del rapporto debito/PIL. Il risultato è una curva che è stata traslata di anno in anno, ma su livelli di debito sempre più elevati.

Da che cosa dovrebbe dipendere questa inversione di marcia, sempre additata ma mai raggiunta? Dai Documenti di Economia e Finanza emerge che il grosso dell’onere della correzione dei conti dovrebbe passare da un forte aumento dell’avanzo primario, ossia la differenza tra entrate e uscite pubbliche, escluso il pagamento degli interessi sul debito. Questa manovra si concretizza o in un aumento degli introiti fiscali, o in una riduzione della spesa pubblica, o in un mix dei due.

Una ricerca del Fondo Monetario Internazionale, già nel 2010, segnalava come l’Italia si caratterizzasse per assenza di spazio fiscale, ritenendo quindi che in Italia il debito pubblico avesse già oltrepassato il limite entro il quale il paese era in grado di stabilizzarlo senza ricorrere a manovre fiscali straordinarie. Tale calcolo è fatto considerando la performance fiscale passata del paese, che dal dopo guerra ha mostrato solo pochi anni con un avanzo primario superiore al 5% del PIL, tra il 1997 e il 2000.

Una manovra straordinaria restrittiva di politica fiscale, di un’entità quasi senza precedenti in Italia, si concretizzerebbe in un consistente aumento delle entrate tributarie o in una riduzione importante della spesa. Fermo restando che la spesa pubblica italiana vada riformata (non necessariamente ridotta perché in linea con tanti altri paesi europei), è difficile immaginare come da questi due canali possa giungere una correzione tale da giustificare le previsioni che vedono l’avanzo primario raggiungere il 5% del PIL nei prossimi anni.

A conferma del fatto che la manovra straordinaria di politica fiscale non possa essere ancora improntata all’austerità, bisogna tenere a mente che la corsa del debito rispetto al reddito nazionale avviene in uno scenario di grave disgregazione sociale ed economica. La crescita del prodotto interno lordo, negativa o vicina allo zero da diversi anni e, in particolare, il recente dato sulla disoccupazione mostrano la situazione in tutta la sua urgenza. Nel primo trimestre del 2014 il tasso di disoccupazione è salito al 13,6% e in particolare colpisce il tasso di disoccupazione giovanile che raggiunge il 46% (!), il che significa che quasi un giovane (tra i 15 e i 24 anni) su due che cerca lavoro non lo trova.

L’attuale condizione di quiete sui mercati, con i tassi sui titoli di Stato vicini ai minimi storici, non deve distogliere l’attenzione da quella che è un’enorme crepa nell’economia italiana, il peso del debito pubblico, che potrebbe raggiungere il 135% del PIL nel 2014 e il cui costo nel 2013, in termini di pagamento degli interessi, ha superato gli 80 miliardi di euro.

La successione delle stime sull’andamento del debito elaborate dei governi la dice molto lunga sulla strategia seguita fino ad oggi, preventivando nei bilanci misure estremamente restrittive che riportassero l’andamento del debito su un sentiero discendente, ma collocandole più avanti negli anni, su un altro governo e comunque procrastinabili. I dati sull’economia reale ci dicono però che questa manovra fiscale è tanto necessaria sulla carta quanto effettivamente impraticabile. Il non più rimandabile problema del debito pubblico italiano andrà affrontato muovendo leve diverse da quelle contemplate finora dell’innalzamento delle imposte o dei tagli alla spesa.

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