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Bad bank: con che soldi?

Le banche non erogano credito all’economia anche perché sono schiacciate dall’enorme mole di crediti in sofferenza. Una bad bank, letteralmente una banca cattiva, potrebbe liberare le banche di questo peso e rendere disponibili risorse da dirigere verso l’economia reale, attraverso una ripresa dei crediti. Ma come funziona una bad bank? E quali sono i rischi di questa operazione?

di Alessandro Leozappa - 11 Febbraio 2014 - 5'

Le banche non erogano credito all’economia anche perché sono schiacciate dall’enorme mole di crediti in sofferenza. Una bad bank, letteralmente una banca cattiva, potrebbe liberare le banche di questo peso e rendere disponibili risorse da dirigere verso l’economia reale, attraverso una ripresa dei crediti. Ma come funziona una bad bank? E quali sono i rischi di questa operazione?

La crisi ha visto un’enorme crescita dei crediti in sofferenza detenuti dalle banche (i cosiddetti NPL, Non-performing Loan). L’ultima rilevazione di Banca d’Italia stimava che questi ammontassero a oltre 155 miliardi di euro, oltre il doppio rispetto a quattro anni fa (78 miliardi nel 2010). La rapida crescita dei crediti in sofferenza è figlia sia del rallentamento economico, che ha fatto sì che molti debitori, privati e imprese, si siano visti impossibilitati a rientrare dei prestiti contratti, ma anche di un’allocazione del credito da parte del sistema bancario non sempre efficace, che ha risposto più a interessi particolari e logiche clientelari, piuttosto che alla ricerca delle realtà più meritevoli. Una soluzione al problema delle sofferenze, che compare sulla bocca di molti in questi giorni, è l’istituzione di una bad bank, in cui far confluire questa enorme massa di crediti deteriorati.

Un meccanismo del genere, già attuato in diversi paesi in questi anni, quali Spagna e Irlanda, prevede la vendita dei crediti in sofferenza ad un organismo preposto. Le attività in pessime condizioni sono acquistate a prezzi molto scontati e l’acquirente punta a gestire questo patrimonio rivendendolo diluito nel tempo, realizzando, auspicabilmente, un profitto. Le banche che vendono le sofferenze potrebbero registrare una perdita o un guadagno, a seconda che il prezzo di vendita sia rispettivamente minore o maggiore rispetto al valore a cui l’attività è riportata a bilancio. Sempre dal punto di vista delle banche, l’operazione di pulizia dei bilanci consente loro di presentarsi più solide agli imminenti stress test europei, limitando le necessità di aumenti di capitale e svalutazioni. Per quanto riguarda l’economia reale, l’abbattimento dei crediti in sofferenza nei bilanci delle banche potrebbe effettivamente avere un impatto virtuoso sulla ripresa dei crediti.

A oggi, infatti, le banche sono tenute a far fronte ai crediti deteriorati stanziando degli accantonamenti, bloccando quindi risorse con la funzione di riserve, che non possono quindi essere impiegate altrimenti. Attualmente la proposta è solo allo stadio di idea e nulla è certo riguardo alle modalità con cui un’eventuale bad bank funzionerà. Le due maggiori banche del paese, Intesa Sanpaolo e Unicredit, starebbero preferendo una gestione autonoma dei propri crediti deteriorati, mentre le banche più piccole potrebbero essere interessate da un progetto di bad bank sistemica, forse sotto la guida di Banca d’Italia. Quest’ultima soluzione presenta oggettive difficoltà perché richiederebbe un’armonizzazione della valutazione dei crediti, oggi affidata ai singoli istituti. Al di là dei molti accorgimenti tecnici, rimane tuttora senza risposta una domanda fondamentale: chi compererà questa enorme massa di crediti in pessime condizioni e fortemente illiquidi?

L’esperienza spagnola e quella irlandese hanno visto un forte coinvolgimento dei rispettivi Stati e dell’Europa. In Italia invece pare che si voglia, fortunatamente, evitare l’intervento pubblico, come ribadito dallo stesso Ministro del Tesoro Saccomanni. La bad bank dovrebbe quindi essere partecipata da soli operatori di mercato. Ma se non si trovassero investitori a sufficienza per rilevare gli oltre 150 miliardi di sofferenze detenute dal sistema bancario? Teoricamente la Cassa Depositi e Prestiti avrebbe la facoltà di partecipare all’operazione, e con le garanzie dello Stato. La Cassa è una società per azioni controllata dal ministero del Tesoro, che ne detiene oltre l’80%, mentre il restante è in mano ad un gruppo di fondazioni bancarie.

La bad bank potrebbe avere un impatto positivo sulla ripresa dell’attività creditizia, ma sarà cruciale evitare il coinvolgimento della Cassa Depositi e Prestiti, perché si tratterebbe dell’ennesimo favore della politica al sistema bancario, fatto a spese dei contribuenti. Assolutamente, dobbiamo risparmiarcelo.

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