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Basta promesse, i giovani non ci credono più

Il tasso di disoccupazione giovanile, come certificato dall’Istat, è salito fino al 43,3% toccando il livello più alto mai registrato dal secondo dopoguerra. Il dato, già estremamente allarmante di suo, non esprime però l’insieme di problematiche ad esso collegato e che minano le prospettive di milioni di giovani italiani e, di conseguenza, dell’intero Paese.

di Anna Schwarz - 12 Dicembre 2014 - 6'

Il tasso di disoccupazione giovanile, come certificato dall’Istat, è salito fino al 43,3% toccando il livello più alto mai registrato dal secondo dopoguerra. Il dato, già estremamente allarmante di suo, non esprime però l’insieme di problematiche ad esso collegato e che minano le prospettive di milioni di giovani italiani e, di conseguenza, dell’intero Paese.

Alla crescita della disoccupazione si accompagna inversamente un calo generalizzato della fiducia tra i giovani, molti dei quali si trovano a vivere nel miraggio di trovare un lavoro e nel sogno di praticare una professione quantomeno coerente con il percorso di studi intrapreso.

La dialettica politica, spesso intrisa di pura demagogia elettorale, ha sempre messo il lavoro, soprattutto quello giovanile, al primo posto tra le priorità, ma le promesse non si sono tradotte in politiche atte a favorire la fase di ingresso al mercato del lavoro e le azioni messe in campo dagli ultimi governi si sono rivelate inefficaci.

Eppure, come ci ricorda anche l’Europa, le sfide poste da un mondo globalizzato e in continua trasformazione si vincono solo con la promozione di una piena partecipazione dei giovani nella società e nel mondo del lavoro. Per fare ciò c’è bisogno di un investimento qualitativo sulle nuove generazioni, non tanto e non solo per migliorare le condizioni dei giovani stessi, ma anche per riconsiderare, finalmente, il loro ruolo all’interno della società come risorsa per produrre ricchezza e benessere. Tutto giusto, tutto condiviso, tutto dimenticato. Almeno in Italia, a quanto ci dicono i dati.

Come detto il livello raggiunto dal tasso di disoccupazione giovanile è il più alto mai registrato nell’Italia Repubblicana, ma ci sono una serie di componenti che preoccupano ancor di più in una prospettiva di lungo periodo, tracciando un quadro di demotivazione e disillusione generalizzata, in cui i giovani italiani si ritrovano molto spesso ad accontentarsi di ciò che passa il convento.

Si parte dai laureati. Secondo l’Istat, la percentuale di chi a tre anni dal termine del percorso di studi ha un lavoro è di circa 20 punti sotto la media europea. Quelli che ce l’hanno invece, almeno stando ai dati del ‘’Rapporto Giovani’’ dell’Istituto Toniolo, sono insoddisfatti o quantomeno adattati. Dall’indagine emerge infatti che oltre il 45% degli occupati tra i 19 e 30 anni si adatta a svolgere un’attività poco coerente con il proprio percorso di studi e quasi uno su due percepisce una remunerazione considerata inadeguata. A questi si aggiungono quel 20% di under 30 appartenenti alla cosiddetta categoria dei NEET (Not (engaged) in Education, Employment or Trainig) ovvero quelli che non studiano e non lavorano e che sono i soggetti più a rischio poiché risentono maggiormente dei rischi e delle incognite della situazione economica generale e sono meno in grado di progettare positivamente il proprio futuro. Anche in questa categoria, gli italiani sono tristemente tra i più nutriti numericamente in Europa.

Il tutto si traduce in un problema di fiducia e in esodo di massa di ragazzi e ragazze che non trovano nel loro paese d’origine le risposte ai loro sogni e tantomeno le possibilità per raggiungerli.

La fiducia dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro può essere suddivisa in due tronconi. Il primo riguarda il lato dell’offerta di lavoro, soprattutto in relazione al grado di preparazione dei giovani italiani. Secondo l’Istituto Toniolo, oltre la metà degli intervistati ritiene ‘scarse’ le possibilità di trovare un impiego adeguato o coerente con il proprio percorso di studi, mentre uno su tre le definisce ‘’limitate’’. Altro discorso è invece la fiducia nel sistema e quindi nella politica per cambiare questa situazione. Oltre il 70% degli intervistati infatti ha scarsa fiducia che nei prossimi tre anni la politica riuscirà a migliorare significativamente le condizioni della propria generazione.

Agli annunci e alle promesse della politica non sono seguiti risultati tangibili e in grado di produrre un reale miglioramento delle opportunità per le nuove generazioni, con il risultato che l’80% degli under 30% presi in esame ritiene che il miglior modo per migliorare la propria situazione sia emigrare all’estero, invece di attendere che le promesse della politica si realizzino.

Ed ecco che altri dati arrivano a corroborare questo sentimento espresso dall’indagine dell’Istituto Toniolo. La conferma è arrivata pochi giorni fa dal rapporto Istat: ‘Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente’, relativo al 2013.

Erano dieci anni che non si vedeva un numero così alto di emigrati italiani. Il numero di connazionali che hanno lasciato il Bel Paese è infatti aumentato del 21% rispetto al 2013, a fronte di un calo dell’immigrazione del 12,3%. Ciò che però si ricollega al discorso fatto in precedenza è la voce relativa alle migrazioni da e per l’estero di cittadini italiani con più di 24 anni. Di questi, il 30% possiede una laurea.

L’Italia non solo non offre possibilità ai propri figli, ma non risulta neanche così attraente per i residenti all’estero. Nonostante si portino avanti campagne contro la cosiddetta ‘’invasione’’ straniera dell’Italia, ciò che dovrebbe preoccupare di più i nostri politici è l’esodo non verso ma dalla penisola. Dal 2007 al 2013 infatti l’immigrazione è calata del 41,7% mentre le emigrazioni sono più che raddoppiate con un +20,7% nel 2013 rispetto all’anno precedente.

Da più parti si evidenzia che per invertire questa situazione serva aumentare la spesa per istruzione del Pil. Al calo quantitativo dei giovani italiani rispetto agli altri Paesi europei non ha corrisposto un aumento qualitativo. Come sottolineato nell’indagine del Rapporto Giovani, esiste una stretta relazione tra investimento in ricerca, sviluppo, innovazione e politiche attive, che consentano ai giovani di camminare con le proprie gambe, di ricoprire ruoli di rilievo e, anziché essere passivamente dipendenti dai genitori, essere attivamente presenti nel mercato del lavoro. Tuttavia, dove non c’è investimento sui giovani, e questo è il caso dell’Italia, questi sono costretti a rivedere al ribasso le proprie aspettative e decidere di conseguenza di trasferirsi all’estero.

La situazione è grave e l’entità del problema è in costante crescita, così come le sue implicazioni. Rischiamo di rimanere intrappolati in una condizione di inattività e ritrovarci in un circolo vizioso in cui alla sfiducia si somma un deterioramento complessivo delle competenze, con l’esito di restringere le possibilità per i giovani di inserirsi con successo nel mercato del lavoro e di essere parte attiva all’interno di una società che cresce e produce benessere.

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