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Chi è l’investitore tipo in fondi comuni italiani?

La ricerca di Assogestioni analizza il mercato dei fondi comuni di investimento italiani in riferimento ad alcuni macrotemi riguardanti i sottoscrittori: la partecipazione rispetto alla popolazione, le caratteristiche anagrafiche, la distribuzione geografica e le modalità di investimento. Quali sono i trend più rilevanti?

di Elisabetta Villa - 22 Maggio 2017 - 6'

Come ogni anno, Assogestioni ha pubblicato l’analisi sul profilo de “I sottoscrittori di fondi comuni italiani”. La ricerca analizza il mercato dei fondi comuni di investimento italiani in riferimento ad alcuni macrotemi riguardanti i sottoscrittori: la partecipazione rispetto alla popolazione, le caratteristiche anagrafiche, la distribuzione geografica e le modalità di investimento.

Abbiamo voluto evidenziare i dati più rilevanti e utili per tracciare il profilo dell’investitore tipo in fondi comuni italiani.

Tra i risultati maggiormente positivi, si segnala che dal 2013, il pubblico degli investitori continua a manifestare un crescente interesse verso il mercato dei fondi comuni. Nel 2016, infatti, si è registrato un aumento di circa 200mila sottoscrittori (+0,4% rispetto al 2015), che hanno raggiunto un numero complessivo di 6,6 milioni (l’11% della popolazione residente). Da rilevare è inoltre il trend di riequilibrio tra i generi: il gap tra la percentuale di sottoscrittori uomini (54%) e donne (46%) non è mai stato così basso come nel 2016.

I risultati meno incoraggianti riguardano soprattutto l’età, la distribuzione patrimoniale e geografica dei sottoscrittori e i canali di vendita.

 

L’età media del sottoscrittore di fondi comuni italiani è di 59 anni. Ma ciò che maggiormente preoccupa è che dal 2002 a oggi, la percentuale di sottoscrittori compresa tra i 26 e i 35 anni è scesa dal 14,6% al 6,6%, mentre quella degli investitori più anziani (oltre i 75 anni) è cresciuta passando dal 9,2% al 18,5% circa. Dato che non si spiega unicamente con i trend demografici, ma che vede le sue cause la difficoltà a risparmiare, la carenza dell’offerta di prodotti e servizi gli investitori più giovani.

Per quanto riguarda la distribuzione geografica, il 65% circa degli investitori risiede al Nord, il 18% nel Centro e il restante 17% nel Sud e nelle Isole.

Il patrimonio gestito dai fondi è notevolmente concentrato nei decili più ricchi dei sottoscrittori: il 10% dei sottoscrittori con il reddito più elevato detiene circa il 50% del patrimonio totale.

Riguardo ai canali di vendita, il canale bancario rimane il più utilizzato dai sottoscrittori italiani. Il suo peso è addirittura aumentato nel tempo, passando dal 77% nel 2002 al 93,5% del 2016. Un valore che, come segnalato dagli stessi autori del Quaderno, testimonia le caratteristiche tipiche del mercato italiano in termini di integrazione verticale banca-SGR.

A cambiare notevolmente sono state invece le scelte di investimento dei sottoscrittori. I fondi azionari rappresentavano circa il 24% delle preferenze nel 2002 mentre oggi soltanto il 7%. A riscuotere invece un grande successo tra i sottoscrittori sono i fondi flessibili (36%), complice la campagna di vendita massiccia dei fondi a cedola.

Dalla ricerca condotta da Assogestioni emergono dunque alcuni trend non positivi:

  • La concentrazione del patrimonio tra i sottoscrittori più ricchi.
  • La forte dipendenza dal canale di vendita bancario.
  • La precaria partecipazione all’investimento in fondi comuni da parte dei Millennials.

Quali possono essere allora le soluzioni? E in che cosa il mercato del risparmio gestito può migliorare?

In primo luogo i canali distributivi. Le nuove tecnologie offrono importanti opportunità: dalla sottoscrizione dei fondi online, alla maggiore accessibilità e alla totale autonomia con cui si può accedere a strumenti che in passato erano destinati a un pubblico molto ricco.

Inoltre si possono si sono aperti nuovi canali come ad esempio la possibilità di acquistare i fondi sulla piattaforma di Borsa italiana. Solo pochi investitori sanno che molti fondi comuni di investimento possono essere acquistati come qualsiasi azione o obbligazione attraverso il canale Borsa Italiana. Il che significa non solo maggiore trasparenza e concorrenza a vantaggio del risparmiatore, che ha la possibilità di non limitare la scelta ai soli prodotti proposti dalla sua banca, ma anche avere accesso ad un mercato più ampio e a costi più bassi.

In secondo luogo, occorrerebbe spezzare quel circolo che lega i risparmi ad alti livelli di reddito o di ricchezza. Certamente, la crisi economica ha allargato la forchetta della distribuzione dell’investimento per fasce di reddito. Ma chi ha mai detto che per investire ci vogliono grandi somme di denaro?

L’investitore moderno che potrebbe e dovrebbe investire in fondi comuni è alla ricerca di trasparenza e flessibilità ma soprattutto di accessibilità.

Tra le SGR presenti in Italia, AcomeA SGR è riuscita ad attrezzarsi verso il cambiamento, risolvendo i principali problemi evidenziati grazie all’offerta di soluzioni d’investimento innovative e personalizzate.

Gimme5 ad esempio, è un’app che permette di investire in fondi comuni di investimento a partire da 5 euro alla volta, in totale libertà, senza vincoli di importo o ricorrenza. Inoltre, è possibile ottenere il rimborso in qualsiasi momento a solo 1 euro di costo.

Gimme5 si pone in netta controtendenza rispetto alle statistiche di Assogestioni.

1) La soglia d’accesso è decisamente bassa: è possibile investire a partire da 5 euro, in netta controtendenza con quanto ci dice il rapporto non è necessario disporre di grandi patrimoni per iniziare a investire.

2) Si può risparmiare e investire in modo “fai da te” e senza intermediazione bancaria: Gimme5 offre online tutti i servizi di iscrizione, investimento e monitoraggio della posizione.

3) I giovani tornano ad investire: il 49% dei clienti di Gimme5 ha un’età inferiore a 45 anni, mentre nei fondi comuni analizzati da Assogestioni la percentuale di giovani sotto i 45 anni è pari al 21,9%.

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