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Investire seguendo i media?

La lira turca non è più un porto sicuro! Gli emergenti affossano le borse! I media possono fornire informazioni utili per investire? Se leggo il giornale tutti i giorni, sarò più in grado di capire quello che accade sui mercati? Riuscirò a investire e disinvestire al momento giusto? Probabilmente no.

di Elisabetta Villa - 28 Febbraio 2014 - 5'

La lira turca non è più un porto sicuro! Gli emergenti affossano le borse! I media possono fornire informazioni utili per investire? Se leggo il giornale tutti i giorni, sarò più in grado di capire quello che accade sui mercati? Riuscirò a investire e disinvestire al momento giusto? Probabilmente no.

In questi giorni i mercati emergenti occupano le prime pagine dei giornali di settore e non, di tutto il mondo, tra le vicissitudini particolari di Turchia e Argentina, alle prese con tensioni politiche interne, e un più generalizzato allarmismo che coinvolge tutti i paesi emergenti a causa di un’uscita di capitali sulla scorta della riduzione degli stimoli monetari da parte della Banca Centrale americana (il cosiddetto tapering). Il Wall Street Journal del 17 gennaio ci mette in guardia sul fatto che la lira turca non sia più un porto sicuro per gli investitori, mentre il Sole 24 Ore del 25 gennaio titola: “Venerdì nero. Gli emergenti affossano i mercati”. Siamo quindi sull’orlo di un crollo dei mercati emergenti? Sta accadendo qualcosa che ha causato una repentina inversione di rotta per i mercati e le economie dei paesi emergenti? Diamo la parola ai numeri.

I mercati azionari della maggior parte dei paesi emergenti non hanno subito in questi mesi un crollo significativo, a parte qualche eccezione, e si trovano a livelli vicini ai massimi di sempre. Diverso è il discorso per quanto riguarda i titoli di Stato che sono stati interessati da una flessione. Il grafico sottostante riporta il prezzo dei titoli di Stato su scadenze medio lunghe di alcuni paesi emergenti dalla fine del 2010.

Se nell’ultimo anno abbiamo assistito a una riduzione dei prezzi, possiamo fare almeno due considerazioni: il movimento al ribasso delle ultime settimane, che ha conquistato l’attenzione dei media, è marginale se si considera un orizzonte temporale minimamente più lungo, e i livelli di prezzo raggiunti oggi non si discostano significativamente da quelli di inizio 2010, quando i mercati emergenti sembravano essere il paradiso di ogni investitore.

Ma allora è tutto fumo e niente arrosto? Non proprio. Gli investitori stranieri hanno visto un’effettiva riduzione del valore dei propri investimenti nei mercati emergenti, sui titoli di Stato, ma in alcuni casi anche sull’azionario, perché le valute di questi paesi si sono fortemente deprezzate.

Se consideriamo, infatti, l’andamento delle valute contro l’euro (normalizzate a 100 alla fine del 2010), notiamo che la perdita di valore negli ultimi tre anni è stata nell’ordine del 30%, quasi 40% in alcuni casi. Guardando questo grafico potremmo quindi chiederci: “Nelle ultime settimane, è successo qualcosa di diverso da quanto accade da qualche anno?”. “No”. Il che suggerisce che la tanto decantata crisi degli emergenti è tutt’altro che una notizia dell’ultimo minuto, quasi una non-notizia.

I paesi emergenti erano considerati fino a pochi anni fa la terra promessa degli investitori, adorati dai media, consigliati dagli sportelli bancari e dai promotori, in quanto erano visti come un modo per non investire nei paesi considerati ‘sicuri’, quali Germania e Stati Uniti, perché offrivano tassi di interesse molto bassi, ma anche di evitare la travagliata Europa. Chi, seguendo l’umore dei media, avesse investito negli emergenti intorno al 2010 e venduto adesso, avrebbe perso un sacco di soldi o, nella migliore delle ipotesi, guadagnato molto meno che altrove.

Bisognerebbe a questo punto fare una riflessione: perché nessuno scrive che oggi l’investimento nei mercati emergenti potrebbe tornare a essere interessante dato il crollo dei prezzi e soprattutto delle valute? Considerando la Turchia, l’Indonesia, il Messico, il Brasile e il Sud Africa, osserviamo che dalla fine del 2010 i titoli di Stato decennali hanno perso in media oltre il 30% del valore espresso in euro. In altre parole, un investitore europeo che oggi volesse comprare un pacchetto di titoli governativi di questi paesi lo pagherebbe il 30% in meno rispetto a tre anni fa, quando gli emergenti erano adorati dai mercati e dalla stampa. Siamo insomma in periodo di saldi, e l’investimento in questi paesi, (i TIMBS?), potrebbe diventare un’interessante occasione di investimento per coloro che sono disposti ad affrontare un po’ di volatilità e con un orizzonte temporale lungo. Ma questo non fa notizia e quindi i media ce lo racconteranno solo se gli emergenti saranno tornati sui massimi.

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