Per te, ogni due settimane, una selezione dei migliori articoli del blog.
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Potrebbe sembrare il solito tema ostico e riservato agli addetti ai lavori ma, purtroppo, quello delle commissioni di collocamento riguarda molto da vicino la gran parte dei risparmiatori che negli ultimi anni hanno acquistato fondi comuni di investimento. Sono infatti l’ultima grande passione di parte dell’industria italiana del risparmio gestito e sono previste da quasi tutti i fondi maggiormente venduti (e non è un caso). Vale la pena provare a capire cosa sono, e soprattutto perché andrebbero evitate accuratamente.
C’erano una volta le commissioni di sottoscrizione o di ingresso. Questi costi erano trattenuti al momento di ogni nuova sottoscrizione in un fondo comune: ipotizzando una commissione di ingresso del 4%, un risparmiatore che faceva un versamento per 100 euro, ne investiva in realtà 96, mentre 4 erano trattenuti dalla società di gestione (e solitamente girate a chi aveva venduto il fondo). Le commissioni di ingresso si trovano ancora in diversi fondi, ma i distributori fanno sempre più fatica ad applicarle perché presentano degli svantaggi ben visibili ai risparmiatori. Nel caso infatti di una commissione di ingresso del 4%, il fondo dovrà avere un risultato netto superiore al 4% perché il risparmiatore pareggi almeno l’ammontare della sottoscrizione effettuata. Per questa ragione sempre più distributori stanno rinunciando ad applicarle.
Tuttavia, l’industria del risparmio gestito è rapida e ingegnosa quando si tratta di non perdere rendite preziose. Da qualche anno quindi hanno fatto la loro comparsa le commissioni di collocamento: commissioni a carico del fondo, prelevate in un’unica soluzione e ammortizzate linearmente in un periodo solitamente di 5 anni. Per capire, al di là della definizione, come funzionano, è utile continuare sull’esempio dei 100 euro e una commissione, di collocamento questa volta, del 4%. Bisogna innanzitutto chiarire che questo tipo di commissioni si può applicare solo a fondi comuni con una durata prestabilita e con una finestra di collocamento, tipicamente della durata di 3 mesi, all’infuori della quale non è possibile fare sottoscrizioni successive. Immaginiamo quindi un risparmiatore che durante la finestra di collocamento investa 100 euro nel fondo. Non essendoci commissioni di ingresso il risparmiatore vedrà un valore del patrimonio pari a 100. Quello che però il risparmiatore non vede è l’effetto delle commissioni di collocamento, che alla fine della finestra di collocamento sono prelevate in un’unica soluzione dal patrimonio del fondo (leggasi patrimonio dei sottoscrittori). Dei 100 euro investiti, infatti, 4 sono stati immediatamente prelevati dalla SGR e, probabilmente, girati ai collocatori. Il motivo per cui il risparmiatore continua a vedere un patrimonio di 100 euro, quando invece quello effettivo è da subito pari a 96, è un banale meccanismo contabile. Il prelievo della commissione di collocamento genera, nel bilancio del fondo, un credito (tecnicamente un risconto attivo) che sarà ripagato con una giornaliera riduzione del valore della quota nei 5 anni successivi. Come si vede nel grafico, arrivati alla scadenza dei 5 anni, il valore della quota avrà incorporato totalmente il costo delle commissioni di collocamento, sostenuto dal patrimonio del fondo (dei risparmiatori) anni prima.
Per loro natura le commissioni di collocamento vanno di pari passo con delle commissioni di rimborso decrescenti e a favore del fondo. Il risparmiatore che decide di uscire prima della scadenza del fondo vede addebitata tutta la componente delle commissioni di collocamento non ancora ammortizzata. Nell’esempio numerico del grafico, se un risparmiatore esce dopo un anno, periodo in cui è la commissione di collocamento è stata ammortizzata per lo 0,8%, pagherà una commissione di uscita del 3,2%. Anche in questo caso si tratta però di un aggiustamento contabile perché quel 4% di commissioni di collocamento è già stato prelevato dal capitale del sottoscrittore, ma non ancora incorporato dal valore della quota.
Una volta fatta chiarezza, proviamo a evidenziare i punti che dovrebbero indurre qualsiasi risparmiatore a fuggire un prodotto che prevede queste commissioni.
Insomma, le commissioni di collocamento ricordano molto le commissioni di ingresso, abbandonate e fatte rientrare della finestra, con la differenza che non sono scontabili e negoziabili e soprattutto sono invisibili al risparmiatore. Dati gli evidenti vantaggi che le commissioni di collocamento portano a SGR e banche distributrici, non stupisce che queste siano presenti in quasi tutti i fondi più venduti degli ultimi anni. Più difficile è vederne un beneficio per il risparmiatore, che per fortuna può tutelarsi facilmente, evitando fondi che prevedano commissioni di collocamento.
Ma evitare le fregature è possibile, grazie ad un’app semplice che svela tutti i costi dei fondi: poteva solo chiamarsi Angel Costi.
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