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Nessun investimento è per sempre

La strategia di investimento preferita, almeno storicamente, dal risparmiatore italiano è quella del cosiddetto cassettista. Il risparmiatore acquista cioè un titolo obbligazionario, sia questo un titolo pubblico o un’obbligazione privata (bancaria), e lo porta fino a scadenza incassando le cedole. Questo atteggiamento, di passiva serenità, si estende poi a forme di investimento diverse: un qualsiasi titolo (sia questo un pacchetto di azioni o un fondo) viene acquistato e dimenticato in portafoglio, almeno fino a quando non dà un risultato particolarmente negativo.

di Alessandro Leozappa - 11 Agosto 2015 - 5'

La strategia di investimento preferita, almeno storicamente, dal risparmiatore italiano è quella del cosiddetto cassettista. Il risparmiatore acquista cioè un titolo obbligazionario, sia questo un titolo pubblico o un’obbligazione privata (bancaria), e lo porta fino a scadenza incassando le cedole. Questo atteggiamento, di passiva serenità, si estende poi a forme di investimento diverse: un qualsiasi titolo (sia questo un pacchetto di azioni o un fondo) viene acquistato e dimenticato in portafoglio, almeno fino a quando non dà un risultato particolarmente negativo.

Se la strategia del cassettista può funzionare con un’obbligazione, anche se sacrificando potenziali guadagni derivanti da un eventuale aumento del prezzo del titolo, questa non è estendibile a strumenti finanziari diversi, quali fondi e azioni. Insomma, difficilmente un investimento è per sempre. La replica di questa strategia a tutto il portafoglio di investimenti porta strutturalmente a perdere opportunità di rendimento e ad esporsi ad un rischio diverso da quello prescelto. La prassi di effettuare un investimento e poi dimenticarselo è frutto di una limitata attenzione dei risparmiatori all’evoluzione del proprio portafoglio nonché di un servizio di consulenza post-vendita praticamente inesistente, soprattutto sui clienti con patrimoni più modesti.

Vediamo nel dettaglio quali sono le criticità della strategia del cassettista nella gestione di un portafoglio.

Punto 1: la costruzione di un portafoglio di investimenti dovrebbe essere coerente con la volontà di un risparmiatore di esporsi al rischio alla ricerca di un certo rendimento, nonché con la sua età, che impatta ovviamente sull’orizzonte temporale dell’investimento. Date queste considerazioni, si compone il portafoglio di conseguenza. Se, ad esempio, ho quarant’anni potrei scegliere di detenere in portafoglio una buona fetta di azioni globali, poniamo il 60% del mio investimento, mentre il restante 40% sarà investito in obbligazioni globali su scadenze diverse per contenere il rischio*. Vediamo quindi l’effetto dell’andamento dei mercati su un portafoglio così composto.

Punto 2: i prezzi degli strumenti finanziari si muovono: non è quindi detto che il portafoglio composto secondo le logiche del Punto 1, mantenga nel tempo le stesse caratteristiche. Se torniamo all’esempio precedente e immaginiamo che dopo un certo periodo di tempo la componente azionaria del portafoglio si sia apprezzata in maniera consistente, poniamo del 25%, mentre quella obbligazionaria è rimasta pressoché stabile, con un rendimento dell’1%, la composizione del portafoglio sarà passata da essere 60% azioni e 40% obbligazioni a 65% azioni e 35% obbligazioni.

Due sono le domande che un risparmiatore dovrebbe farsi a questo punto: «il portafoglio così composto (65%/35%) è ancora coerente con le mie caratteristiche, la mia volontà di espormi al rischio e il mio orizzonte di investimento?». Inoltre, «voglio scegliere di mantenere in portafoglio il 65% di azioni, dato che ne detenevo meno, prima che si apprezzassero in maniera significativa ed erano quindi più convenienti?»

Per evitare di trovarsi in questa situazione il risparmiatore dovrebbe insomma adattare il proprio investimento ai movimenti significativi del portafoglio, vendendo quindi i titoli o gli strumenti che si sono apprezzati relativamente di più, per comprare invece quelli che sono rimasti indietro. Questa operazione sembra naturale da un punto di vista teorico, ma risulta terribilmente difficile a moltissimi investitori che rabbrividiscono all’idea di vendere dei titoli su cui hanno guadagnato, specie se per acquistare poi strumenti su cui stanno registrando delle perdite o che comunque non hanno dato alcuna soddisfazione.

Ci sono un paio di strategie che permettono di gestire o sfruttare questa situazione:

Opzione 1: ribilancio l’investimento, vendendo i titoli che sono andati meglio e ricomprando quelli che sono rimasti indietro, fino a riportarmi alla composizione originale del portafoglio. (Nell’esempio, venderei azioni e comprerei obbligazioni fino a riportarmi ad un portafoglio 60%/40%).

Opzione 2: cerco di sfruttare le opportunità che si creano sui mercati, non riportandomi alla composizione iniziale del portafoglio ma aumentando l’esposizione sullo strumento che è rimasto più indietro. (Nell’esempio potrei quindi vendere azioni e comprare obbligazioni fino ad ottenere un portafoglio 55% azioni e 45% obbligazioni).

La scelta per l’uno o per l’altro approccio dipende fortemente dalle preferenze individuali ma nessuna di queste strategie è difficile da attuare. Chiunque si dia un metodo (e lo applichi) è in grado di ribilanciare il proprio portafoglio a fronte di movimenti rilevanti dei titoli. Nel caso non ci si voglia prendere questo impegno per mancanza di tempo e competenze, un buon consulente potrà monitorare il portafoglio e indicare le operazioni da fare a seconda degli andamenti dei mercati. Per coniugare la comodità di non dover seguire in autonomia questo processo (o rischiare di deviare dal metodo scelto) con il risparmio di costi tipico del fai-da-te, AcomeA dà la possibilità di impostare un servizio a scelta tra il ribilanciamento automatico del portafoglio di fondi e la riallocazione dinamica dove i prezzi sono più convenienti.

*Portafoglio esemplificativo.

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