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Deflazione e debito: paradossi all’italiana

L’ammontare del debito pubblico italiano è alle stelle, l’economia è in recessione e ad agosto il Paese è entrato in deflazione mostrando gli effetti di un preoccupante calo della domanda e dei consumi. Tutti segnali di un’economia ormai allo stremo che attende (ancora) azioni risolutive dalla politica. Eppure in questa situazione non mancano i paradossi.

di Elisabetta Villa - 2 Settembre 2014 - 5'

L’ammontare del debito pubblico italiano è alle stelle, l’economia è in recessione e ad agosto il Paese è entrato in deflazione mostrando gli effetti di un preoccupante calo della domanda e dei consumi. Tutti segnali di un’economia ormai allo stremo che attende (ancora) azioni risolutive dalla politica. Eppure in questa situazione non mancano i paradossi.

Il rendimento dei Btp decennali italiani è ai minimi storiciIl (2,45% al momento in cui si scrive) e gli investitori appaiono più fiduciosi di poter guadagnare di più acquistando i titoli di casa nostra rispetto a quelli statunitensi e inglesi. Questo significa che gli investitori preferiscono puntare sul debito italiano rispetto a quello a stelle e strisce o inglese, accettando anche rendimenti più bassi. Ci si chiede dove sia finito il rischio insolvenza italiana della fine del 2011. Ci siamo addormentati e abbiamo perso un boom economico negli ultimi 3 anni? No, semplicemente i mercati scommettono sempre più su un’azione di allentamento quantitativo della Banca centrale europea che vedrebbe l’Italia, secondo paese più indebitato dell’area euro, come uno dei maggiori beneficiari.

Descritto questo primo aspetto si passa al paradosso. Come è possibile che in tale situazione, tutto sommato favorevole, l’Italia rischia di vedere crescere il peso del proprio debito pubblico mentre assiste stupefatta al continuo calo dei rendimenti e all’aggiornarsi di nuovi minimi storici (di rendimento offerto) ogniqualvolta il Tesoro bussa alla porta dei mercati andando in asta con i propri titoli?

E’ la deflazione, bellezza! Si perché, come spiega la teoria macroeconomica, se un debitore deve a un creditore 1.000 euro, l’importo reale del suo debito è di 1.000/P euro, dove P è il livello dei prezzi. Una diminuzione dei prezzi (deflazione) e il conseguente calo dei salari, fa così aumentare l’importo reale del debito, cioè il potere d’acquisto che il detentore deve restituire al creditore. In pratica, il progressivo abbassamento dei prezzi rende automaticamente più pesante il rimborso di un debito.

Quando parliamo di uno stato indebitato e senza crescita come l’Italia la deflazione diventa problema molto serio, soprattutto in ottica di sostenibilità del debito. Infatti, in tale situazione, il pil nominale scende, perché i prezzi calano e non c’è ripresa economica e anche se, ipotizzando, lo stock di debito pubblico restasse uguale, aumenterebbe il peso dell’indebitamento. La bassa inflazione, o deflazione, rende inoltre più difficile il contenimento del rapporto debito/pil, figurarsi la sua riduzione, aumentando conseguentemente gli sforzi necessari per rispettare i target di bilancio imposti dall’Europa.

Se ciò non bastasse ecco un altro paradosso. Un alto debito pubblico, generalmente, significa per uno stato alte spese per interesse da sostenere. La drastica discesa dei rendimenti dei BTP ha comportato un calo altrettanto marcato degli interessi. Una buona notizia, in teoria. Tuttavia, ancora una volta ecco che lo spettro deflazione torna a mostrare i suo effetti negativi.

Quando alla fine del 2011, all’apice della crisi dello spread il rendimento dei Btp a 10 anni era salito fino al 7,5%, l’inflazione correva al ritmo di +3% e il Pil segnava +0,4%. In quel dato momento il costo reale del rimborso del debito si attestava intorno al 4%. Oggi, invece, con il tasso del Btp sotto il 2,5% ma con la deflazione e una crescita zero o negativa, il costo per ripagare il debito rischia di essere uguale ad allora, se non maggiore nel caso di una risalita dei rendimenti. Questo perché non bisogna guardare al tasso di rendimento nominale quale unico indizio di salute dello stato. Infatti, dato l’enorme mole del debito e il contesto di crescita nulla italiana, in presenza di tassi nominali più alti accompagnati da un più elevato (ma non eccessivo) livello di inflazione, il costo per ripagare il debito è meno pesante rispetto al caso in cui il tasso nominale sia più basso, ma non accompagnato da inflazione. Vuoi vedere che si stava meglio quando si stava peggio?

Diverse sono le strade per ridurre il debito italiano. Per alcuni le uniche due percorribili sono crescita e inflazione. Esattamente le due componenti che mancano all’appello dell’Italia. L’austerità imposta dall’Europa per uscire dalla crisi ha portato a un peggioramento della situazione del debito italiano. Seguendo la direzione tracciata dalla Germania, storicamente contraria all’inflazione, si è arrivati a un contesto deflazionistico in tutta l’area euro, dimenticando come un po’ di inflazione aiuti a ridurre il peso dell’indebitamento.

Molti sperano che le nuove immissioni di liquidità da parte della Bce all’interno del sistema finanziario europeo in cambio della trasmissione di quest’ultima all’interno dell’economia reale, possano in ultima istanza far tornare a crescere l’inflazione. Ancora una volta, dunque, si spera di guadagnare tempo grazie all’intervento dell’Eurotower, tanto, ormai, peggio di così..

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