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Flessibilità UE: cosa dobbiamo fare noi in cambio?

La flessibilità concessa da Bruxelles all’Italia, le clausole di salvaguardia e quei 4 miliardi di investimenti aggiuntivi da spendere.

di Flavio Talarico - 26 Maggio 2016 - 3'

La Commissione Europea ha dato il via libera alla legge di Stabilità 2016 in cambio di garanzie per il 2017 e un nuovo esame per l’Italia a novembre di quest’anno. Ciò significa che è stata concessa la flessibilità di bilancio richiesta dal nostro governo nella Finanziaria 2016, corrispondente a uno sconto di 13,6 miliardi di euro. «È meno di quanto avrei voluto, non è la soluzione di tutti i mali, ma è un fatto importante ed è un successo per l’intero Paese. È un principio», ha commentato il nostro premier Renzi.

In sostanza il governo avrà un margine di 13,6 miliardi in più per il deficit 2016 (8,5 miliardi per le riforme e 5,1 miliardi per gli investimenti) senza incorrere in sanzioni, tuttavia in cambio la Commissione ha chiesto di varare in ottobre una Legge di stabilità che centri l’obiettivo di un deficit all’1,8% del Pil nel 2017 (in riduzione dello 0.6% dal 2016). Questo significa una correzione di bilancio nella prossima finanziaria di circa 10 miliardi, di cui 8 già previsti e 2 per scongiurare il probabile divario nei conti pubblici italiani del 2017 tra le previsioni della stessa Commissione e quelle del nostro governo. Si parla di una ulteriore 0,15-0,20% del Pil: sembra poca cosa ma il suo mancato rispetto comporterebbe l’applicazione delle temute clausole di salvaguardia (aumenti automatici di entrate tributarie a garanzia della tenuta dei conti pubblici, come ad esempio il passaggio dell’IVA dal 22 al 25%).

Nel suo rapporto la Commissione ha fatto numerose altre raccomandazioni all’Italiain relazione all’accelerazione del processo di privatizzazione (i cui proventi dovrebbero essere usati per ridurre il debito pubblico) e alle numerose riforme (imposte che dovrebbero essere trasferite dalle attività produttive ai consumi e alle proprietà, amministrazione pubblica, mercato del lavoro).

Il vero problema per l’Italia rimane sempre lo stesso: il debito pubblico, sotto stretta osservazione da parte della Commissione Europea. Ricordiamo l’obbligo per il nostro Paese – previsto dal Fiscal Compact, entrato in vigore nel gennaio 2013di ridurre il debito dal 2016 in poi di un ventesimo all’anno in media.

Le assicurazioni date dal ministro Padoan alla Commissione Europea per ora sono bastate, e l’Italia ha ottenuto una flessibilità di bilancio per l’anno in corso pari all’0,85% del Pil evitando una procedura di infrazione. Questo 0,85% si compone di uno 0,50% legato alle riforme economiche, uno 0,25% per investimenti strutturali, uno 0,04% per i costi della gestione della crisi dei rifugiati e lo 0,06% per l’emergenza sicurezza.

Vorrei qui porre l’accento su quello 0,25% concesso in relazione agli investimenti strutturali, perché il loro presupposto è che si facciano entro quest’anno 4 miliardi di investimenti aggiuntivi. Il governo ha prontamente inviato alla Commissione una serie di progetti, spazianti da opere infrastrutturali – tra cui il Brennero, la Torino-Lione, la Treviglio-Brescia, la Napoli-Bari, la Palermo-Messina – al piano del Miur per la ricerca industriale e le Smart city, alla scuola, e tuttavia non è ancora stato chiarito se i 4 miliardi debbano essere di spesa effettiva, e dunque di cassa, o sia sufficiente l’assunzione di impegni vincolanti per il futuro. Nel primo caso la partita sarebbe enormemente più difficile, perché i tempi sono davvero strettissimi.

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