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I morsi della disoccupazione giovanile

Quasi un giovane italiano su due non trova lavoro. La disoccupazione in Italia per i giovani sotto i 25 anni è tale che, tra coloro che cercano un lavoro oltre il 40% non lo trova. Un recente studio approfondisce i diversi elementi che alimentano questa piaga.

di Lorenzo Saggiorato - 14 Gennaio 2014 - 4'

Quasi un giovane italiano su due non trova lavoro. La disoccupazione in Italia per i giovani sotto i 25 anni è tale che, tra coloro che cercano un lavoro oltre il 40% non lo trova. Un recente studio approfondisce i diversi elementi che alimentano questa piaga.

Dall’inizio della crisi la disoccupazione è più che duplicata raggiungendo quota 12,7% a novembre 2013. Ancora più grave è stato però l’impatto registrato in termini di disoccupazione per i soli giovani sotto i 25 anni, con il tasso di disoccupazione giovanile che ha raggiunto il record storico del 41,6%. Questa situazione è drammatica e ha un impatto estremamente negativo per il paese sotto il profilo economico e sociale, perché contribuisce innanzitutto ad alimentare la povertà giovanile, crea esclusione sociale aggravando la disuguaglianza, e pone una grave minaccia sul futuro del paese.

Una recente ricerca di McKinsey sul tema della disoccupazione giovanile in Europa si focalizza sul passaggio dall’educazione al mondo del lavoro. In tutta Europa, infatti, si è assistito a un aumento della disoccupazione giovanile negli anni della crisi, pur tuttavia senza raggiungere nella maggior parte dei casi la gravità della realtà italiana. Dalla ricerca emergono diversi punti critici e conseguentemente alcune aree di intervento per la politica. Ci focalizziamo sui risultati per l’Italia.

Emerge un mondo dell’istruzione che non parla con il lavoro, e viceversa. Il dato che colpisce maggiormente è il fatto che, malgrado l’elevatissimo numero di giovani in cerca di un lavoro, il 47% delle imprese intervistate lamenta la mancanza di competenze nei neo assunti. Si evidenzia quindi una distanza tra le competenze fornite dal sistema educativo secondario e dall’università e quelle richieste dal mondo del lavoro.

Una formazione carente è spesso motivata solo dal mancato accesso ad un’istruzione superiore, troppo spesso causato dai costi elevati. Il 39% degli intervistati che non si sono iscritti all’università dichiara di non poter permettersi il costo, in termini di retta e soprattutto in termini di costo-opportunità (la scelta di impiegare il proprio tempo studiando anzi che lavorando). Il 79% degli studenti universitari dichiara di dipendere economicamente solo dalle famiglie di appartenenza. Si rafforza in questo modo la trasmissione intergenerazionale della condizione economica, limitando seriamente le opportunità per i giovani di costruirsi una condizione economica migliore di quella della famiglia di origine.

Sempre per quanto riguarda l’acquisizione delle competenze emerge che la formazione sul lavoro, gli stage, non forniscono ai giovani gli strumenti adeguati. Troppo spesso, infatti, gli stage non sono visti dall’impresa come un’occasione di formazione ma come un modo per avere forza lavoro poco qualificata, a basso costo e con pochissimi vincoli contrattuali, beneficiando di quella flessibilità che non esiste sui contratti di vecchia generazione.

I giovani sono stati la fascia più colpita dal rallentamento dell’attività economica ed emerge adesso in tutta la sua urgenza, la necessità di affrontare questo problema che logora la risorsa più importante per il futuro del paese. I fronti su cui è necessario lavorare sono il miglioramento del rapporto tra mondo del lavoro e sistema educativo e rafforzare un sistema che permetta a tutti i giovani meritevoli di concludere il percorso di studi, riducendo i costi per le famiglie meno abbienti. Accanto a questi interventi è necessario intervenire per ridurre il cuneo fiscale che rende estremamente onerosa l’assunzione per le imprese, disincentivando così l’abuso al ricorso degli stage.

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