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Un’altra crociata contro il risparmio?

Sul risparmio delle famiglie la politica italiana ha sempre fatto cassa facile, sotto diverse forme, tramite patrimoniali più o meno dichiarate. Sembra inserirsi in questa linea di continuità il recente intervento del segretario del PD Renzi, che si dichiara favorevole a un aumento della tassazione sulle rendite finanziarie. O forse no?

di Lorenzo Saggiorato - 8 Gennaio 2014 - 4'

Sul risparmio delle famiglie la politica italiana ha sempre fatto cassa facile, sotto diverse forme, tramite patrimoniali più o meno dichiarate. Sembra inserirsi in questa linea di continuità il recente intervento del segretario del PD Renzi, che si dichiara favorevole a un aumento della tassazione sulle rendite finanziarie. O forse no?

Nel dibattito pubblico ci si riferisce genericamente alla tassazione sul risparmio come tutto quell’insieme di imposte che gravano sui risparmi e sugli investimenti, facendo rientrare sotto questo cappello imposizioni fiscali diverse. Se da un certo punto di vista questa semplificazione facilita la comunicazione, si perdono così differenze sostanziali tra le diverse possibili vie per tassare il risparmio, soprattutto in termini di effetti più o meno distorsivi, di vizi di forma e di incentivi. Proviamo a vedere quali sono queste differenze e quali spazi di manovra ci sono per la politica.

Una tassa che grava sull’ammontare dell’investimento, come è oggi in Italia l’imposta di bollo malgrado le recenti modifiche, si presenta come una mini-patrimoniale, camuffata ma ricorrente. È evidente il vizio di doppia tassazione che questa impostazione presenta: i redditi, prodotti dall’attività lavorativa e tassati quindi come reddito da lavoro, vengono poi nuovamente tassati quando vengono risparmiati. Oltre al danno la beffa, perché se l’investimento effettuato andrà in perdita il cittadino dovrà comunque pagare l’imposta di bollo, senza che a questo sia conseguito alcun aumento del proprio patrimonio. Si crea così un forte disincentivo a risparmiare, preferendo altri impieghi, comunque tassati ma che producono un beneficio tangibile nell’immediato (come i consumi) o addirittura solo prospettato (come il gioco d’azzardo).

Per quanto riguarda le rendite finanziarie, ossia i guadagni che si ottengono dalla detenzione di strumenti finanziari, è difficile muovere le stesse critiche. La differenza cruciale consiste nel fatto che in questo caso il capitale tassato è effettivamente frutto di un guadagno realizzato e non ancora tassato. Perché un reddito da lavoro è tassato fino al 43% e un reddito da capitale fino a un massimo del 20%? Contrariamente a quanto avviene per l’imposta di bollo inoltre la tassa sulle rendite finanziarie è dovuta solo in caso di un investimento profittevole e, in teoria, è previsto un meccanismo di compensazione tra utili e perdite sul portafoglio.

Una terza variante per tassare il risparmio è quella della tassa sulle transazioni finanziarie (la famigerata Tobin tax). Questa via, che tassa l’acquisto di prodotti finanziari, risulta però essere poco efficace in termini di gettito generato, mentre ha un effetto disincentivante il risparmio.

Siamo abituati a vedere l’Italia spesso tra i peggiori nelle classifiche internazionali sotto molti punti di vista, eppure in termini di tassazione sulle rendite finanziarie non è così: tra i paesi OCSE l’Italia, con un’aliquota del 20% (e addirittura del 12,5% sui titoli di Stato), si colloca tra quegli stati con l’imposizione fiscale sulle rendite finanziarie più lieve. Sotto il profilo redistributivo inoltre bisogna considerare che l’imposizione fiscale leggera sulle rendite finanziarie beneficia principalmente le fasce più abbienti della popolazione, in quanto più facilmente detentrici di strumenti finanziari.

Un sereno dibattito sul tema è ostaggio del contrapporsi di diverse posizioni ideologiche: da un lato c’è chi vuole colpire la finanza vista come entità oscura da combattere, dall’altro il tabù del mettere le mani nelle tasche dei risparmiatori. Per uscire da questa impostazione è fondamentale considerare il livello totale imposizione fiscale come individui, e il benessere a livello paese, dove la priorità è la riduzione delle tasse sul lavoro, perché per essere risparmiatori dovremmo essere in primo luogo lavoratori. In quest’ottica considerare un lieve aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie, o la riduzione del divario esistente tra rendite su titoli di stato e su tutti gli altri strumenti finanziari, alla luce di una riduzione delle tasse sul lavoro potrebbe portare un beneficio a tutto il sistema paese, in termini di rilancio dell’occupazione, stimoli alla crescita e contrasto delle disuguaglianze.

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